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Il Dono Della Battaglia
Morgan Rice


L’Anello Dello Stregone #17
L’ANELLO DELLO STREGONE ha tutti gli ingredienti per un successo immediato: intrighi, complotti, mistero, cavalieri valorosi, storie d’amore che fioriscono e cuori spezzati, inganno e tradimento. Una storia che vi terrà incollati al libro per ore e sarà in grado di riscuotere l’interesse di persone di ogni età. Non può mancare sugli scaffali dei lettori di fantasy. Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (parlando di Un’impresa da eroi) IL DONO DELLA BATTAGLIA (Libro #17) è il capitolo finale della serie vincitrice d’incassi che inizia con UN’IMPRESA DA EROI (libro #1) ! In IL DONO DELLA BATTAGLIA, Thor affronta la più grande e conclusiva sfida addentrandosi sempre più nella Terra del Sangue nel tentativo di salvare Guwayne. Incontrando avversari più potenti di quanto potesse immaginare, Thor si rende presto conto di trovarsi di fronte a un esercito dell’oscurità, un esercito contro il quale i suoi poteri non gli sono di aiuto. Quando viene a sapere che un oggetto sacro potrebbe fornirgli i poteri di cui ha bisogno – un oggetto che gli è stato tenuto segreto per tutto questo tempo – deve imbarcarsi per una ricerca conclusiva per recuperarlo prima che sia troppo tardi, con il destino del mondo in bilico. Gwendolyn mantiene il suo giuramento al re della Dorsale ed entra nella torre confrontandosi con il capo spirituale per imparare i suoi segreti. È scioccata da ciò che viene a sapere e la rivelazione la spinge ad andare da Argon e infine anche dal maestro di Argon, dove apprende il grande segreto di tutto, un segreto che cambierà il destino finale dell’Anello e del suo popolo. Il Crinale si viene a trovare sotto assedio, attaccato da un esercito immenso mai visto prima da occhio umano, e il compito della difesa ricade su Kendrick e gli altri, mentre a Gwendolyn tocca condurre il suo popolo in un ultimo esodo di massa. I fratelli della Legione di Thor affrontano rischi inimmaginabili mentre Angel sta morendo di lebbra. Dario combatte con tutto se stesso, insieme a suo padre, nella capitale dell’Impero fino a che una sorpresa lo lascia devastato e lo spinge, senza niente ormai più da perdere, a richiamare i suoi poteri e scoprire chi è. Erec e Alistair raggiungono Volusia lottando nella risalita del fiume e sono costretti a continuare la loro ricerca di Gwendolyn affrontando inaspettata battaglie. Godfrey capisce che non può più nascondersi dietro l’alcool e che deve finalmente prendere una decisione e diventare l’uomo che vuole. Volusia, circondata dall’intero potere dei Cavalieri del Sette deve mettersi alla prova in quanto dea e scoprire se anche da sola possiede il potere di annientare gli uomini e governare l’Impero. Mentre Argon, ormai nei suoi ultimi giorni, si rende conto che è arrivato il momento di sacrificarsi. Mentre il bene e il male pendono in precario equilibrio un’ultima e definitive battaglia – la più grandiose di tutte – determinerà per sempre il destino dell’Anello. Con la sua sofisticata struttura e caratterizzazione, IL DONO DELLA BATTAGLIA è un racconto epico di amicizia e amore, di rivali e seguaci, di cavalieri e draghi, di intrighi e macchinazioni politiche, di maturazione, di cuori spezzati, di inganno, ambizione e tradimento. È un racconto di onore e coraggio, di fato e destino, di stregoneria. È un fantasy capace di portarci in un mondo che non dimenticheremo mai, in grado di affascinare persone di ogni sesso ed età. IL DONO DELLA BATTAGLIA è il più lungo dei libri della serie con 93. 000 parole! Ed è ora disponibile per essere ordinate su Play anche la nuova serie fantasy di Morgan Rice L’ASCESA DEI DRAGHI (RE E STREGONI – LIBRO 1) .







I L D O N O D E L L A B A T T A G L I A



(LIBRO #17 IN L’ANELLO DELLO STREGONE)



MORGAN RICE



EDIZIONE ITALIANA

A CURA DI



ANNALISA LOVAT


Chi ГЁ Morgan Rice



Morgan Rice e l’autrice campione d’incassi negli Stati Uniti oggi della serie epica fantasy L’ANELLO DELLO STREGONE che comprende diciassette libri; della serie campione d’incassi APPUNTI DI UN VAMPIRO, che comprende al momento undici libri; della serie campione d’incassi LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA, un thriller apocalittico che comprende al momento due libri e della nuova serie epica fantasy RE E STREGONI. I libri di Morgan solo disponibili in formato audio o cartaceo e sono tradotti in oltre 25 lingue.



TRAMUTATA(Libro #1 in Appunti di un Vampiro), ARENA UNO (Libro #1 della Trilogia della Sopravvivenza) e UN’IMPRESA DA EROI (Libro #1 in l’Anello dello Stregone) sono tutti disponibili per essere scaricati gratuitamente. L’ASCESA DEI DRAGHI (Re e Stregoni—Libro 1) è ora disponibile per essere pre-ordinato!



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Cosa dicono di Morgan Rice



“Un meraviglioso fantasy nel quale si intrecciano elementi di mistero e intrigo. Un’impresa da eroi parla della presa di coraggio e della realizzazione di uno scopo di vita che porta alla crescita, alla maturità e all’eccellenza… Per quelli che cercano corpose avventure fantasy: qui i protagonisti, gli stratagemmi e l’azione forniscono un vigoroso insieme di incontri che ben si concentrano sull’evoluzione di Thor da ragazzino sognatore e giovane che affronta l’impossibile pur di sopravvivere… Solo l’inizio di ciò che promette di essere una serie epica per ragazzi.”

Midwest Book Review (D. Donovan, eBook Reviewer)



“L’ANELLO DELLO STREGONE ha tutti gli ingredienti per un successo immediato: intrighi, complotti, mistero, cavalieri valorosi, storie d’amore che fioriscono e cuori spezzati, inganno e tradimento. Una storia che vi terrà incollati al libro per ore e sarà in grado di riscuotere l’interesse di persone di ogni età. Non può mancare sugli scaffali dei lettori di fantasy.”

Books and Movie Reviews, Roberto Mattos



“L’intrigante serie epica fantasy della Rice [L’ANELLO DELLO STREGONE] contiene tratti classici del genere: un’ambientazione forte – profondamente ispirata dall’antica Scozia e alla sua storia – e un buon senso dell’intrigo di corte.”

—KirkusReviews



“Mi è piaciuto un sacco il modo in cui Morgan Rice ha costruito il personaggio di Thor e il mondo in cui vive. Il paesaggio e le creature che lo popolano sono ben descritti… Mi sono goduto la trama, breve e dolce… Ci sono la giusta quantità di personaggi secondari, così non c’è il pericolo di confondersi. Pullula di avventure e momenti tormentosi, ma l’azione presentata non appare mai grottesca. È un libro adatto a lettori adolescenti… L’inizio di qualcosa di notevole…”

--San Francisco Book Review



“In questo primo libro pieno zeppo d’azione della serie epica fantasy L’Anello dello Stregone (che conta attualmente 14 libri), la Rice presenta ai lettori il quattordicenne Thorgrin “Thor” McLeod, il cui sogno è quello di far parte della Legione d’Argento, i migliori cavalieri al servizio del re… Lo stile narrative della Rice è solido e le premesse sono intriganti.”

--PublishersWeekly



“[UN’IMPRESA DA EROI] è una lettura semplice e veloce. Le conclusioni di ogni capitolo sono ingegnate in modo da dover leggere ciò che accade successivamente, senza poter smettere. Nel testo ci sono alcuni refusi e a volte i nomi vengono confusi, ma questo non distrae dalla storia nel suo complesso. La conclusione del libro mi ha subito fatto venire voglia di prendere il seguente, e così ho fatto. Tutti i libri della serie L’Anello dello Stregone possono essere acquistati in format Kindle e Un’Impresa da Eroi – per iniziare – è disponibile gratuitamente! Se state cercando qualcosa di veloce e leggero da leggere mentre siete in vacanza, questo è il libro perfetto per voi.”

--FantasyOnline.net


Libri di Morgan Rice



RE E STREGONI

L’ASCESA DEI DRAGHI (Libro #1)



L’ANELLO DELLO STREGONE

UN’IMPRESA DA EROI (Libro #1

LA MARCIA DEI RE (Libro #2)

DESTINO DI DRAGHI (Libro #3)

GRIDO D’ONORE (Libro #4)

VOTO DI GLORIA (Libro #5)

UN COMPITO DI VALORE (Libro #6)

RITO DI SPADE (Libro #7)

CONCESSIONE D’ARMI (Libro #8)

UN CIELO DI INCANTESIMI (Libro #9)

UN MARE DI SCUDI (Libro #10)

REGNO D’ACCIAIO (Libro #11)

LA TERRA DEL FUOCO (Libro #12)

LA LEGGE DELLE REGINE (Libro #13)

GIURAMENTO FRATERNO (Libro #14)

SOGNO DA MORTALI (Libro #15)

GIOSTRA DI CAVALIERI (Libro #16)

IL DONO DELLA BATTAGLIA (Libro #17)



LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA

ARENA UNO: SLAVERSUNNERS (Libro #1)

ARENA DUE (Libro #2)



APPUNTI DI UN VAMPIRO

TRAMUTATA (Libro #1)

AMATA (Libro #2)

TRADITA (Libro #3)

DESTINATA (Libro #4)

DESIDERATA (Libro #5)

BETROTHED (Libro #6)

VOWED (Libro #7)

FOUND (Libro #8)

RESURRECTED (Libro #9)

CRAVED (Libro #10)

FATED (Libro #11)


Scarica adesso i libri di Morgan Rice!















Copyright В© 2014 by Morgan Rice

All rights reserved. Except as permitted under the U.S. Copyright Act of 1976, no part of this publication may be reproduced, distributed or transmitted in any form or by any means, or stored in a database or retrieval system, without the prior permission of the author.

This ebookis licensed for your personal enjoyment only. This ebookmaynotbe re-sold or given away to other people. If you would like to share this book with another person, please purchase an additional copy for each recipient. If you’re reading this book and did not purchase it, or it was not purchased for your use only, then please return it and purchase your own copy. Thank you for respecting the hard work of this author.

This is a work of fiction. Names, characters, businesses, organizations, places, events, and incidents either are the product of the author’s imagination or are used fictionally. Any resemblance to actual persons, living or dead, is entirely coincidental.

Jacket image CopyrightPhotosani, used under license from Shutterstock.com.


INDICE



CAPITOLO UNO (#u359903e5-aa75-5f16-8e01-3ad4fbb4b5d4)

CAPITOLO DUE (#u1026e915-fbb4-58a6-a098-7567dc9d2945)

CAPITOLO TRE (#u65fa1b9e-562b-5d22-8ea9-034fe14e192f)

CAPITOLO QUATTRO (#ue613e253-cee0-5e93-94e0-185e523ec82f)

CAPITOLO CINQUE (#u8bc78527-cee8-5552-b4ab-352600e84c9b)

CAPITOLO SEI (#u0f6f7572-cb6f-5ba6-a367-ae4cc7c99c17)

CAPITOLO SETTE (#u2c0d02c2-65e0-529d-9917-d1e8d555ce7f)

CAPITOLO OTTO (#u24c8f282-7fc1-5622-862e-e4e1fac462dc)

CAPITOLO NOVE (#uf138da59-699f-53a6-b3d4-510b1950c070)

CAPITOLO DIECI (#ua43162fe-2ec7-5286-a517-af4426a23174)

CAPITOLO UNDICI (#u4646258d-3675-518c-89d7-2dd43202b14d)

CAPITOLO DODICI (#u9580d2de-f381-531f-ae2a-db6e5b11db31)

CAPITOLO TREDICI (#u817e066c-37ad-5e46-b1ce-d4c241573867)

CAPITOLO QUATTORDICI (#ua20633fc-836b-5419-bdb9-e542641552cb)

CAPITOLO QUINDICI (#u6cff3596-7846-551f-bb89-e089a5085f59)

CAPITOLO SEDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIASSETTE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIOTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIANNOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTUNO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTIDUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTITRÉ (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTIQUATTRO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTICINQUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTISEI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTISETTE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTOTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTINOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTA (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTUNO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTADUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTATRÉ (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTAQUATTRO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTACINQUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTASEI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTASETTE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTOTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TRENTANOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUARANTA (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUARANTUNO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUARANTADUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUARANTATRÉ (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUARANTAQUATTRO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUARANTACINQUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUARANTASEI (#litres_trial_promo)


Per Jake Maynard.



Un vero guerriero.


“Tu vieni a me con la spada, con la lancia e col giavellotto,

Ma io vengo a te nel nome di Dio, Signore degli eserciti, Dio delle schiere.”



--Davide a Golia

I Samuele, 17:45




CAPITOLO UNO


Thorgrin, in piedi sulla nave che dondolava violentemente, guardГІ davanti a sГ© e lentamente, con orrore, iniziГІ a rendersi conto di ciГІ che aveva appena fatto. GuardГІ scioccato le proprie mani che ancora stringevano la Spada della Morte, poi risollevГІ lo sguardo per guardare a pochi centimetri da sГ© il volto del suo migliore amico, Reece, che lo fissava con gli occhi sgranati per il dolore e per la sorpresa di essere stato tradito. Le mani di Thor tremarono violentemente quando si rese conto che aveva appena trafitto il suo migliore amico al petto e che lo stava guardando morire davanti a propri occhi.

Thor non poteva capire cosa fosse accaduto. Mentre la nave era scossa e si girava, le correnti continuarono a spingerli attraverso lo Stretto della Follia fino a che emersero dall’altra parte. Le correnti si calmarono, la nave si rimise in equilibrio e le spesse nuvole iniziarono a sollevarsi mentre con un’ultima esplosione uscivano nelle acque calme e quiete.

In quel momento la nebbia che aveva avvolto la mente di Thor si dissipò e lui iniziò a tornare in sé e a rivedere le cose con chiarezza. Guardò Reece di fronte a sé e il cuore gli si spezzò rendendosi conto che non era il volto di un nemico ma quello del suo migliore amico. Lentamente capì ciò che aveva fatto, capì che si era trovato nelle grinfie di qualcosa di più grande di lui stesso, uno spirito della follia impossibile da controllare e che lo aveva costretto ad eseguire quell’orribile azione.

“NO!” gridò Thor con la voce spezzata dall’angoscia.

Estrasse la Spada della Morte dal petto dell’amico e Reece sussultò iniziando a collassare. Thor scagliò via la spada non volendo più posarvi sopra lo sguardo e l’arma cadde con un tonfo vuoto suo ponte, mentre Thor cadeva in ginocchio e afferrava Reece, tenendolo tra le braccia, determinato a salvarlo.

“Reece!” gridò, oppresso dalla colpa.

Thor allungГІ una mano e la premette contro la ferita cercando di fermare il sangue. Ma potГ© sentire il sangue caldo che gli scorreva tra le dita, potГ© sentire la forza vitale di Reece che fluiva fuori dal suo corpo mentre lo stringeva tra le braccia.

Elden, Mati, Indra ed Angel accorsero, anche loro finalmente liberi dalla morsa della loro follia, e si raccolsero attorno a loro. Thor chiuse gli occhi e pregГІ con tutto se stesso che il suo amico tornasse, che lui, Thor, potesse ricevere la possibilitГ  di rimediare al proprio errore.

Udì dei passi e sollevando lo sguardo vide Selese sopraggiungere, la pelle più pallida che mai, gli occhi accesi di una luce ultraterrena. Cadde in ginocchio davanti a Reece, lo prese tra le braccia e Thor lo lasciò andare vedendo il bagliore che la avvolgeva, ricordando i suoi poteri da guaritrice.

Selese sollevГІ lo sguardo su Thor con gli occhi ardenti e intensi.

“Solo tu puoi salvarlo,” gli disse con urgenza. “Metti una mano sulla ferita, adesso!” gli ordinò.

Thor allungò e pose il palmo sul petto di Reece e subito Selese pose la propria mano sulla sua. Thor sentì il calore e il potere che passavano dalla mano di Selese, attraverso il suo palmo fino alla ferita di Reece.

Selese chiuse gli occhi e iniziò a mormorare e Thor sentì un’ondata di calore salire dal corpo dell’amico. Pregò con tutto se stesso che il suo amico tornasse da lui, che gli venisse perdonata quella follia che l’aveva condotto a fare questo.

Con grande sollievo di Thor Reece aprì lentamente gli occhi. Sbatté le palpebre e guardò il cielo, poi lentamente si mise a sedere.

Thor guardГІ stupito mentre Reece sbatteva le palpebre diverse volte e abbassava lo sguardo sulla propria ferita: era completamente guarita. Thor era senza parole, sopraffatto, in ammirazione di fronte ai poteri di Selese.

“Fratello mio!” gridò Thor.

Lo abbracciò con forza e Reece, disorientato, ricambiò l’abbraccio mentre Thor lo aiutava a rimettersi in piedi.

“Sei vivo!” esclamò Thor, non avendo il coraggio di crederlo e stringendogli le spalle. Thor ripensò a tutte le battaglie nelle quali avevano combattuto insieme, a tutte le avventure: non avrebbe potuto tollerare l’idea di perderlo.

“E perché non dovrei esserlo?” chiese Reece confuso. Si guardò attorno vedendo i volti interrogativi della Legione e apparve perplesso. Gli altri si avvicinarono e lo abbracciarono uno alla volta.

Mentre gli altri si facevano avanti Thor si guardò attorno e li osservò, rendendosi conto improvvisamente con orrore che mancava qualcuno: O’Connor.

Thor corse freneticamente verso il corrimano e scrutò le acque, ricordando che O’Connor, all’apice della propria follia, si era gettato dalla nave nelle correnti furiose.

“O’Connor!” gridò.

Gli altri accorsero e guardarono le acque insieme a lui. Thor osservò in basso allungando il collo per guardare verso lo stretto, verso le vorticose acque rosse, dense di sangue. Lì vide O’Connor che si dimenava e veniva risucchiato proprio al limitare dello stretto.

Thor non attese tempo: reagì istintivamente e saltò sul corrimano, quindi si tuffò di testa in mare.

Sommerso, impressionato dal calore, Thor sentì quanto densa fosse quell’acqua: era come nuotare in sangue vero e proprio. L’acqua, così calda, sembrava fango ribollente.

Ci vollero tutte le sue forze per nuotare in quelle acque vischiose e tornare in superficie. Pose gli occhi su O’Connor che stava cominciando ad affondare e vide il panico nel suo sguardo. Vide anche che, mentre O’Connor passava il limite tra lo stretto e il mare aperto, la sua follia iniziava ad abbandonarlo.

Eppure, per quanto si agitasse, iniziava a sprofondare e Thor capì che se non l’avesse raggiunto in tempo sarebbe annegato finendo nel fondo dello stretto dove non l’avrebbero mai più potuto trovare.

Thor raddoppiò gli sforzi, nuotando con tutte le sue forze, nuotando nonostante l’intenso dolore e la stanchezza che provava alle spalle. Ma mentre si avvicinava, O’Connor scendeva sempre più.

Thor provò un’iniezione di adrenalina vedendo l’amico finire sotto la superficie e sapendo che doveva agire ora o mai più. Scattò in avanti, si tuffò sott’acqua e iniziò a dare forti gambate. Nuotò sotto la superficie, sforzandosi di aprire gli occhi e vedere attraverso il denso liquido, anche se non ne era capace. Bruciava troppo.

Thor chiuse gli occhi e si lasciò guidare dall’istinto. Raccolse la parte più profonda di se stesso che gli permetteva di guardare senza vedere.

Con un altro disperato colpo di gambe si allungò brancolando nell’acqua davanti a sé. Sentì qualcosa. Delle maniche.

Felice afferrò O’Connor e lo tenne stretto, sorpreso dal suo peso mentre affondava. Thor tirò girandosi e tornando con tutte le sue forze verso la superficie. Era in agonia, ogni muscolo del corpo protestava mentre sgambava e nuotava verso la libertà. A ogni bracciata gli sembrava di tirare il mondo intero.

Proprio quando iniziava a pensare che non ce l’avrebbe mai fatta e che sarebbe affondato nei profondi recessi del mare insieme ad O’Connor morendo in quel posto orrendo, improvvisamente emerse. Ansimando per respirare si voltò e si guardò attorno vedendo con sollievo che era risalito dall’altra parte dello Stretto della Follia, in mare aperto. Vide la testa di O’Connor emergere accanto a sé e vide che anche lui prendeva una boccata d’aria. A quel punto il suo senso di sollievo fu completo.

Thor vide la follia che abbandonava il suo amico e la luciditГ  fare ritorno lentamente nei suoi occhi.

O’Connor sbatté le palpebre diverse volte, tossendo e sputando acqua, poi guardò Thor con espressione interrogativa.

“Cosa ci facciamo qui?” chiese confuso. “Dove siamo?”

“Thorgrin!” gridò una voce.

Thor udì un tonfo nell’acqua e si voltò vedendo una spessa fune atterrare in mare vicino a lui. Sollevò lo sguardo e vide Angel lì in piedi, insieme agli altri vicino al corrimano della nave che andava loro incontro.

Thor la afferrò tenendo O’Connor con l’altro braccio e la fune subito si mosse tirata dalla grande forza di Elden che li sollevò lungo il lato dello scafo. Gli altri della Legione si unirono a lui e tirarono, un tratto alla volta, fino a che Thor si sentì sollevare in aria per finire finalmente oltre il corrimano. Lui e O’Connor atterrarono sul ponte della nave con un tonfo.

Thor, esausto e senza fiato, ancora tossendo e sputacchiando acqua di mare, rimase steso a terra accanto ad O’Connor. O’Connor si voltò a guardarlo ugualmente esausto e Thor vide la gratitudine nel suo sguardo. Poté vedere che O’Connor lo ringraziava. Non c’era bisogno di parole, Thor capì. Avevano un tacito codice. Erano fratelli della Legione. Sacrificarsi l’uno per l’altro era normale per loro. Era ciò per cui vivevano.

Improvvisamente O’Connor iniziò a ridere.

Inizialmente Thor fu preoccupato e pensò che la follia si fosse ancora impadronita di lui, ma poi si rese conto che O’Connor stava bene. Era semplicemente tornato in sé. Stava ridendo per il sollievo, stava ridendo per la gioia di essere libero.

Anche Thor iniziГІ a ridere lasciandosi lo stress alle spalle, e tutti si unirono a loro. Erano vivi; nonostante ogni probabilitГ  erano tutti vivi.

Tutti gli altri membri della Legione si fecero avanti e strinsero O’Connor e Thor aiutandoli a rimettersi in piedi. Si strinsero le mani, si abbracciarono felici. La loro nave finalmente entrava in acque più quiete e navigava dritta in avanti.

Thor guardò avanti e vide con sollievo che stavano procedendo allontanandosi sempre più dallo stretto. La lucidità stava ridiscendendo su di loro. Ce l’avevano fatta, erano passati attraverso lo stretto, sebbene con un pesante prezzo da pagare. Thor pensò che non sarebbero sopravvissuti a un altro passaggio là in mezzo.

“Lì!” gridò Mati.

Thor e gli altri si voltarono seguendo il suo dritto mentre indicava e furono sbalorditi dalla vista davanti a loro. C’era un panorama totalmente nuovo che si profilava davanti a loro in quella Terra del Sangue. Era un panorama cupo, con nuvole scure che pendevano basse sull’orizzonte, l’acqua ancora densa di sangue, ma ora il contorno della costa era più vicino, più visibile. Era nera, priva di alberi o di vota, sembrava fatta di cenere e fango.

Il battito di Thor accelerò mentre scorgeva oltre, in lontananza, un castello nero, fatto di ciò che appariva essere terra mescolata a cenere e fango. Si levava da terra come se fosse un tutt’uno con essa. Thor ne percepiva la malvagità anche da lì.

Uno stretto canale conduceva al castello e il corso d’acqua era illuminato da torce e bloccato da un ponte levatoio. Thor vide delle torce brillare alle finestre del castello e provò una certa sensazione: sapeva con tutto il suo cuore che Guwayne si trovava dentro a quel castello ad aspettarlo.

“Piene vele!” gridò risentendosi completamente in sé e provando un rinnovato senso di finalità.

I suoi fratelli scattarono in azione issando le vele e cogliendo la forte brezza che soffiava da dietro e li spingeva avanti. Per la prima volta da quando erano entrati in quella Terra del Sangue Thor si sentiva ottimista, si sentiva certo di poter finalmente trovare suo figlio e salvarlo da quel posto.

“Sono felice che tu sia vivo,” disse una voce.

Thor si voltГІ e vide Angel che gli sorrideva tirandogli la camicia. Anche lui le sorrise, le si inginocchiГІ accanto e la strinse.

“Anche io,” le rispose.

“Non capisco cosa sia successo,” disse. “Un momento prima ero me stessa, ma l’attimo dopo… era come se non mi conoscessi.”

Thor scosse lentamente la testa cercando di dimenticare.

“La follia è il peggiore di tutti i nemici,” le rispose. “Noi stessi siamo gli avversari che non possiamo battere.”

Lei si accigliГІ preoccupata.

“Succederà di nuovo?” gli chiese. “C’è altro di simile in questo posto?” chiese con la paura nella voce mentre scrutava l’orizzonte.

Anche Thor lo guardava, chiedendosi la stessa cosa. Poi improvvisamente, con suo orrore, la rispose venne rapida davanti a loro.

Si udì un tremendo tonfo in acqua, come di una balena che saliva in superficie, e Thor fu stupefatto di vedere emergere la creatura più abominevole che mai avesse visto. Sembrava un mostruoso calamaro alto almeno quindici metri, rosso chiaro – il colore del sangue – e incombeva sulla loro nave salendo dall’acqua con interminabili tentacoli lunghi dieci metri: erano decine e si sparpagliavano in ogni direzione. I suoi occhi gialli, piccoli e brillanti, li guardavano pieni di rabbia mentre l’enorme bocca, piena di aguzze zanne gialle, si apriva emettendo un suono terribile. La creatura oscurò quel poco di luce che in quel posto buio era concessa ed emise un grido ultraterreno mentre iniziava a calare su di loro, allungando i tentacoli, pronta a divorare l’intera nave.

Thor guardò con orrore, adombrato da quel mostro come tutti gli altri, e capì che erano appena passati da una morte certa ad un’altra.




CAPITOLO DUE


Il comandante dell’Impero frustò ripetutamente la sua zerta mentre galoppava nel mezzo della Grande Desolazione, seguendo le tracce come faceva ormai da giorni. Dietro di lui anche i suoi uomini avanzavano, ansimando, sull’orlo del collasso dato che non aveva concesso loro un solo momento di riposo per tutto il tempo che si erano trovati in viaggio, neanche di notte. Sapeva come stendere le zerte, e sapeva anche come annientare gli uomini.

Non aveva pietà per se stesso e certo non ne aveva alcuna per i suoi uomini. Voleva che fossero resistenti alla stanchezza, al caldo e al freddo, soprattutto quando erano in missioni sacre come quella. Dopotutto se quelle tracce portavano effettivamente dove sperava – al leggendario Crinale – questo avrebbe potuto cambiare l’intero destino dell’Impero.

Il comandante piantò i talloni nei fianchi della zerta fino a farla gemere, costringendola a correre più forte fino quasi ad inciampare sulle sue stesse gambe. Strizzò gli occhi al sole scrutando le tracce mentre proseguivano. Aveva seguito molte impronte in vita sua e aveva ucciso molta gente dove esse conducevano, eppure non aveva mai seguito una scia affascinante come quella. Sentiva di essere vicinissimo alla più grande scoperta nella storia dell’Impero. Il suo nome sarebbe stato commemorato e cantato per generazioni.

Risalirono una dorsale nel mezzo del deserto e iniziarono a udire un debole rumore che man mano cresceva, come una tempesta che stava fermentando nel deserto: guardò oltre quando arrivarono in cima all’altura aspettandosi di vedere una tempesta di sabbia diretta verso di loro. Fu invece scioccato di vedere un muro di sabbia fermo a cento metri da lì, alto da terra fino a cielo, che vorticava e roteava come un tornado fermo sul posto.

Si fermò con i suoi uomini dietro di sé e guardò incuriosito dato che pareva non muoversi. Non capiva. Era una parete di sabbia indiavolata, ma non si avvicinava neanche di un po’. Si chiese cosa ci potesse essere dall’altra parte. Sentiva che in qualche modo vi si trovava il Crinale.

“Le tue tracce finiscono,” disse uno dei suo soldati con tono di scherno.

“Non possiamo attraversare quel muro,” disse un altro.

“Non ci hai portato da nient’altro che da ulteriore sabbia,” disse un altro ancora.

Il comandante scosse lentamente la testa, accigliandosi e sentendosi sempre piГ№ sicuro.

“E se dall’altra parte di quella sabbia si trovasse una terra?” ribatté.

“Dall’altra parte?” chiese un soldato. “Tu sei pazzo. Non è nient’altro che una nuvola di sabbia, un’infinita desolazione come il resto di questo deserto.”

“Ammetti il tuo fallimento,” disse un altro soldato. “Torniamo indietro adesso, altrimenti torneremo senza di te.”

Il comandante si voltГІ rivolgendosi ai suoi soldati, scioccato dalla loro insolenza, e vide disprezzo e ribellione nei loro occhi. Sapeva di dover agire rapidamente se voleva tenerli a bada.

In uno slancio di improvvisa rabbia afferrò il pugnale che teneva in vita e lo fece roteare con un movimento rapido conficcandolo nella gola del soldato. Il giovane annaspò, poi cadde all’indietro finendo a terra mentre una pozzanghera di sangue fresco si formava sul suolo desertico. Nel giro di pochi istanti uno sciame di insetti apparve dal nulla e ricoprì il corpo iniziando a mangiarlo.

Gli altri soldati ora guardavano al loro comandante con paura.

“C’è qualcun altro che desidera disobbedire ai miei ordini?” chiese.

Gli uomini lo guardarono nervosamente, ma questa volta non dissero nulla.

“Se non sarà il deserto ad uccidervi,” disse, “sarò io. A voi la scelta.”

Il comandante si lanciò in avanti, abbassando la testa e lanciando un forte grido di battaglia mentre galoppava contro il muro di sabbia, sapendo che poteva significare la morte per lui. Sapeva che i suoi uomini l’avrebbero seguito e un attimo dopo udì il rumore delle loro zerte e sorrise di soddisfazione. A volte c’era solo bisogno di metterli in riga.

Gridò mentre entrava nel tornado di sabbia. Sentì come una tonnellata di sabbia che gli calava addosso sfregandogli la pelle da ogni parte mentre vi si addentrava sempre più. Il rumore era così forte, simile a migliaia di calabroni che gli ronzavano nelle orecchie, eppure continuò a galoppare spronando la zerta, spingendola avanti nonostante le proteste della bestia, sempre più a fondo. Sentiva la sabbia che gli graffiava testa, occhi e volto e si sentiva come se avesse potuto farlo a pezzi.

Ma continuГІ a galoppare.

Proprio quando iniziava a pensare che i suoi uomini avessero ragione, che quel muro non portasse da nessuna parte, che sarebbero tutti morti in quel luogo, improvvisamente con suo grande sollievo emerse dalla sabbia e si trovò di nuovo alla luce del sole senza più la sabbia a sfregarlo, nient’altro che cielo aperto e aria che mai era stato più felice di vedere e sentire.

Tutt’attorno a lui anche i suoi uomini emersero, tutti graffiati e sanguinanti come lui, insieme alle loro zerte, tutti con un aspetto più da morti che da vivi, ma comunque in vita.

E quando sollevò lo sguardo davanti a sé il cuore del comandante iniziò improvvisamente a battere più rapidamente mentre si fermava di fronte a una veduta sorprendente. Non riusciva a respirare mentre osservava ciò che aveva davanti e lentamente ma con sicurezza sentì il cuore che si gonfiava di un improvviso senso di vittoria, di trionfo. Picchi maestosi si levavano dritti verso il cielo formando una circonferenza. Un luogo che poteva essere solo una cosa: il Crinale.

Era lì all’orizzonte, alto verso l’aria, magnifico, vasto, che si allungava a perdita d’occhio da ogni parte, e lì, in cima, luccicanti al sole, fu meravigliato di vedere migliaia di soldati in splendide armature che stavano di guardia.

L’aveva trovato. Lui e solo lui l’aveva trovato.

I suoi uomini si fermarono di colpo e poterono vederlo anche loro, sollevando lo sguardo in ammirazione e meraviglia, le bocche spalancate, tutti pensando la stessa cosa che stava pensando lui: quel momento era storia. Sarebbero stati tutti eroi, conosciuti per generazioni nella tradizione dell’Impero.

Con un largo sorriso il comandante si voltò verso i suoi uomini che ora lo guardavano con rispetto: poi strattonò la propria zerta e si girò di nuovo, preparandosi a tornare nel muro di sabbia, a rifare tutta la strada senza fermarsi fino a che avrebbe raggiunto la base dell’Impero e riportato ai Cavalieri del Sette ciò che aveva appena scoperto. Nel giro di pochi giorni, ne era certo, l’intero esercito dell’Impero sarebbe sceso su quel posto: il peso di un milione di uomini lanciati per distruggere. Avrebbero attraversato quel muro di sabbia, avrebbero scalato il Crinale e avrebbero annientato quei cavalieri, conquistando l’ultimo territorio rimasto libero nell’Impero.

“Uomini,” disse. “È giunto il nostro momento. Preparatevi a far sì che i vostri nomi siano impressi nell’eternità.”




CAPITOLO TRE


Kendrick, Brandt, Atme, Koldo e Ludvig camminavano in mezzo alla Grande Desolazione mentre i due soli nascevano nel deserto, avanzando a piedi come ormai avevano fatto per tutta la notte, determinati a salvare il giovane Kaden. Marciavano seri, cadenzati da un ritmo silenzioso, tutti con le mani alle armi, tutti con gli sguardi bassi e intenti a seguire le tracce dei Camminasabbia. Le centinaia di impronte li conducevano sempre piГ№ verso il centro di quel paesaggio di desolazione.

Kendrick iniziava a chiedersi se sarebbe mai finito. Si era meravigliato di essersi ritrovato in quella posizione, di nuovo in quella Desolazione dove aveva giurato di non mettervi più piede, soprattutto a piedi e senza cavalli, senza provviste, senza modo di tornare indietro. Avevano rimesso il loro destino nelle mani degli altri cavalieri del Crinale, sperando che sarebbero tornati con cavalli, ma se non l’avessero fatto si erano appena comprati un biglietto di sola andata per quell’impresa senza ritorno.

Ma era questo ciò che significava valore, Kendrick lo sapeva. Kaden, un bravo e giovane guerriero con un grande cuore, era stato nobilmente di guardia e si era avventurato coraggiosamente nel deserto per dare prova di se stesso, finendo però rapito da quelle bestie selvagge. Koldo e Ludvig non potevano voltare le spalle al loro fratello più giovane, per quanto misere fossero le possibilità; e Kendrick, Brandt e Atme non potevano abbandonarli tutti: il loro senso del dovere e dell’onore li obbligava a fare diversamente. Quei bravi cavalieri del Crinale li avevano accolti con ospitalità e gentilezza quando ne avevano avuto maggiormente bisogno ed ora era giunto il momento di ripagare il favore, a qualsiasi costo. La morte significava poco per lui, ma l’onore era tutto.

“Dimmi di Kaden,” disse Kendrick voltandosi verso Koldo, desideroso di spezzare la monotonia del silenzio.

Koldo sollevГІ lo sguardo, stupito dal profondo silenzio, e sospirГІ.

“È uno dei migliori giovani guerrieri che mai incontrerai,” disse. “Il suo cuore è sempre più grande della sua età. Voleva essere un uomo ancora prima di diventare ragazzo, voleva brandire una spada prima di poterne tenere in mano una.”

Scosse la testa.

“Non mi sorprende che si sia avventurato troppo a fondo, che sia stato il primo in pattuglia ad essere stato preso. Non si tira indietro davanti a niente, soprattutto se si tratta di sorvegliare gli altri.”

Ludvig si intromise.

“Se chiunque di noi fosse stato preso,” disse, “il nostro fratellino sarebbe stato il primo ad offrirsi volontario. È il più giovane tra noi, e rappresenta ciò che di meglio c’è in noi.”

Kendrick aveva dato per scontato tutto ciò da quello che aveva visto parlando con Kaden. Aveva riconosciuto in lui lo spirito del guerriero, anche nella sua giovane età. Kendrick sapeva, come sempre, che l’età non aveva nulla a che vedere con l’essere guerriero: lo spirito guerriero risiedeva in una persona, oppure no. Lo spirito non poteva mentire.

Continuarono a marciare a lungo, tornando nel loro costante silenzio mentre i soli salivano più in alto, fino a che Brandt si schiarì la gola.

“E cosa mi dici di questi Camminasabbia?” chiese a Koldo.

Koldo si voltГІ verso di lui mentre marciavano.

“Un feroce gruppo di nomadi,” rispose. “Più bestie che umani. Sono conosciuti per stare a guardia della periferia del Muro di Sabbia.”

“Spazzini,” si intromise Ludvig. “Sono famigerati per trascinare le loro vittime nel mezzo del deserto.”

“Dove?” chiese Atme.

Koldo e Ludvig si scambiarono uno sguardo misterioso.

“Dove si riuniscono, dove svolgono un rituale e fanno a pezzi le loro prede.”

Kendrick rabbrividì pensando a Kaden e al destino che lo aspettava.

“Quindi c’è poco tempo da perdere,” disse Kendrick. “Corriamo, che dite?”

Tutti si guardarono, conoscendo la vastità di quel luogo e capendo che avevano dinnanzi una lunga corsa, soprattutto dato il crescente calore e con le loro armature addosso. Sapevano tutti quanto rischioso sarebbe stato non misurarsi in quell’ambiente che non perdonava nessuno.

Ma non esitarono: tutti insieme si misero a correre. Correvano nel nulla, con il sudore che presto iniziГІ a scorrere lungo i loro volti, sapendo che se non avessero presto trovato Kaden il deserto li avrebbe uccisi tutti.



*



Kendrick ansimava mentre correva, il secondo sole ora alto sopra la sua testa, la sua luce accecante, il suo calore soffocante. Eppure lui e gli altri continuavano a correre, tutti ansimando, con le placche delle armature che sbattevano tra loro. Il sudore colava dal volto di Kendrick e gli bruciava negli occhi tanto da impedirgli di vedere. Mentre i polmoni quasi gli scoppiavano, non aveva mai saputo di poter desiderare così tanto dell’ossigeno. Kendrick non aveva mai provato niente di simile al calore di quei due soli, così intenso, come se stesse per bruciargli la pelle scorticandola dal corpo.

Non sarebbero andati tanto lontano con quel caldo, a quel passo: Kendrick lo sapeva. Presto sarebbero tutti morti lì, collassati, diventati nient’altro che cibo per gli insetti. Invece, mentre correvano, Kendrick udì uno stridio lontano e sollevando lo sguardo vide degli avvoltoi che volavano in cerchio, come facevano ormai da ore, abbassandosi sempre più. Erano sempre i più furbi: sapevano quando era imminente una morte fresca fresca.

Mentre Kendrick fissava le impronte dei Camminasabbia che ancora si allungavano all’orizzonte, non si capacitava di come avesse potuto coprire così tanta strada così rapidamente. Pregava solo che Kaden fosse ancora vivo e che non stessero facendo tutto questo per niente. Ma nonostante tutto non poteva fare a meno di chiedersi se mai l’avrebbero davvero raggiunto. Era come seguire delle impronte in un oceano che si stava ritirando.

Kendrick si guardò attorno e vide gli altri pure chini, tutti impegnati ad arrancare più che a correre, capaci appena di reggersi in piedi ma determinati come lui a non fermarsi. Kendrick sapeva – lo sapevano tutti – che non appena avessero smesso di muoversi sarebbero morti.

Kendrick voleva interrompere la monotonia del silenzio, ma era troppo stanco per parlare agli altri adesso e sforzò le gambe di andare avanti, sentendole pesanti tonnellate. Non osò neppure usare la sua energia per sollevare lo sguardo e scrutare l’orizzonte, sapendo che non avrebbe visto nulla, sapendo che dopotutto era destinato a morire lì. Continuò invece a guardare a terra, a seguire le tracce, conservando qualsiasi minima energia gli fosse rimasta.

Udì un rumore e inizialmente pensò fosse stato prodotto dalla sua immaginazione. Ma il rumore si ripeté: era un suono lontano, come un ronzio di api e questa volta si sforzò di sollevare lo sguardo, pur sapendo che era una cosa stupida, che non poteva esserci nulla e temendo di provare della speranza per niente.

Ma questa volta la vista davanti ai suoi occhi gli fece balzare il cuore per l’emozione. Lì, di fronte a loro, a forse cento metri di distanza, si trovava un gruppo di Camminasabbia.

Kendrick diede un colpo agli altri e anche loro sollevarono lo sguardo, risvegliati dai loro pensieri rimanendo tutti scioccati. La battaglia era arrivata.

Kendrick afferrò la sua arma e così fecero anche gli altri, sentendo la familiare ondata di adrenalina.

I Camminasabbia, decine di quelle creature, si voltarono e li scorsero. Anch’essi si prepararono ad affrontarli. Gridarono e scattarono iniziando a correre.

Kendrick sollevГІ in alto la spada e lanciГІ un forte grido di battaglia, pronto almeno ad uccidere quegli avversari o a morire provandoci.




CAPITOLO QUATTRO


Gwendolyn camminava solennemente nel mezzo della capitale del Crinale, Krohn al suo fianco e Steffen dietro di lei. Nella mente le vorticavano mille pensieri mentre considerava le parole di Argon. Da una parte era felice che si fosse ripreso, che fosse tornato in sГ©, ma la sua fatidica profezia le risuonava nella testa come una maledizione, come una campana che suonava annunciando la sua morte. Dalle sue affermazioni criptiche e tragiche sembrava che non sarebbe mai piГ№ stata insieme a Thor.

Gwen cacciò indietro le lacrime camminando rapidamente, con intenzione, diretta verso la torre. Cercò di bloccare quelle parole, rifiutandosi di permettere che le profezie conducessero la sua vita. Era sempre stata così ed era così che aveva bisogno di restare: forte. Il futuro poteva anche essere scritto, eppure sentiva che poteva essere cambiato. Sentiva che il destino era malleabile. Uno doveva solo volerlo tremendamente, non doveva cedere, a qualsiasi costo.

Questo era uno di quei momenti. Gwen si rifiutava assolutamente di permettere che Thorgrin e Guwayne scivolassero via da lei e sentiva nascere dentro di sé un crescente senso di determinazione. Avrebbe sfidato il suo destino, non importava cosa le sarebbe costato, avrebbe sacrificato qualsiasi cosa l’universo le avesse chiesto. Sotto nessuna circostanza avrebbe attraversato la vita senza più rivedere Thor e Guwayne.

Come se avesse sentito i suoi pensieri, Krohn piagnucolГІ vicino alla sua gamba, strofinandovisi contro mentre lei percorreva le strade. Risvegliata dai suoi pensieri Gwen sollevГІ lo sguardo e vide la torre che incombeva davanti a lei, rossa e a pianta circolare: si ergeva nel centro della capitale. RicordГІ. Il culto. Aveva giurato al re che sarebbe entrata nella torre e avrebbe tentato di salvare suo figlio e sua figlia dalle grinfie di quel culto, avrebbe discusso con il capo sui libri antichi, sul segreto che loro nascondevano e che poteva salvare il Crinale dalla distruzione.

Il cuore di Gwen batteva forte mentre si avvicinava alla torre, anticipando il confronto che aveva innanzi. Voleva aiutare il re e il Crinale, ma soprattutto voleva andarsene da lì, cercare Thor e Guwayne prima che fosse troppo tardi per loro. Se solo avesse avuto un drago al suo fianco come un tempo. Se solo Ralibar potesse tornare da lei e portarla dall’altra parte del mondo, lontano da lì, lontano dai problemi dell’Impero e di nuovo insieme a Thorgrin e Guwayne. Se solo avessero tutti potuto fare ritorno nell’Anello e vivere la loro vita di un tempo.

Ma sapeva che erano sogni infantili. L’Anello era stato distrutto e il Crinale era tutto ciò che le era rimasto. Doveva affrontare la vera realtà dei fatti e fare ciò che era in suo potere per aiutare a salvare quel luogo.

“Mia signora, posso accompagnarti all’interno della torre?”

Gwen si voltò udendo quella voce, risvegliata di colpo dai suoi pensieri, e fu sollevata di vedere il vecchio amico Steffen al suo fianco, mano alla spada, protettivo vicino a lei, felice come sempre di sorvegliarla. Era il consigliere più leale che aveva, lo sapeva, e rifletté su quanto tempo fosse passato da quando era al suo fianco, provando un’ondata di gratitudine.

Fermandosi dinnanzi al ponte levatoio che si trovava davanti a loro e che portava alla torre, Steffen lo guardГІ con espressione sospettosa.

“Non mi fido di questo posto,” disse.

Lei gli pose una mano rassicurante sul polso.

“Sei un amico sincero e leale, Steffen,” rispose. “Ritengo di valore la tua amicizia e la tua lealtà, ma questo è un passo che devo fare da sola. Devo trovare ciò che posso e la tua presenza con me li metterebbe in guardia. Inoltre,” aggiunse mentre Krohn piagnucolava, “avrò Krohn.”

Gwen abbassГІ lo sguardo e vide Krohn che la guardava pieno di aspettativa.

Steffen annuì.

“Ti aspetterò qui,” le disse, “e se ci fosse qualsiasi problema all’interno, accorrerò subito.”

“Se non trovo quello che mi serve all’interno di quella torre,” rispose, “temo che sopraggiungeranno problemi molto più grossi per noi tutti.”



*



Gwen attraversò lentamente il ponte levatoio con Krohn al suo fianco, i suoi passi che riecheggiavano sul legno e le acque che sciabordavano dolcemente sotto di lei. Lungo tutto il ponte si trovavano dei monaci, perfettamente sull’attenti, in silenzio, con addosso tuniche rosse che coprivano anche le mani, gli occhi chiusi. Erano delle guardie piuttosto strane, prive di armi, incredibilmente obbedienti, in piedi lì da chissà quanto tempo. Gwen si meravigliò della loro intensa lealtà e devozione per il loro capo e si rese conto che era proprio come il re aveva detto: lo riverivano tutti come un dio. Si chiese in cosa si stesse invischiando.

Mentre si avvicinava sollevò lo sguardo sul grande portone ad arco che si trovava davanti a lei, fatto di antica quercia e ricoperto di simboli che non capiva. Guardò con meraviglia mentre numerosi monaci si facevano avanti e lo aprivano. I cardini cigolarono e fecero luce su un buio antro illuminato solo da torce. Una fresca ventata la accolse, con un lieve odore di incenso. Krohn si irrigidì dietro di lei, ringhiando, e Gwen entrò udendo le porte chiudersi di schianto alle sue spalle.

Il suono riecheggiò all’interno e le ci volle un momento per orientarsi. Era buio là dentro, le pareti erano illuminate solo da torce e dalla luce del sole che filtrava da alcune vetrate colorate in alto. L’aria sembrava sacra, silenziosa, e Gwen ebbe la sensazione di essere entrata in una chiesa.

Sollevò lo sguardo e vide la torre che si alzava disegnando una spirale con rampe circolari che gradualmente conducevano ai diversi piani. Non c’erano finestre e le pareti riecheggiavano con il flebile suono di un canto. L’odore di incenso era pesante lì e i monaci apparivano e scomparivano, camminando come in trance, entrando e uscendo dalle stanze. Alcuni disperdevano incenso ed altri cantavano, mentre altri ancora stavano in silenzio, persi nella riflessione. Gwen iniziò a porsi molte domande sulla natura di quel culto.

“Ti ha mandata mio padre?” riecheggiò una voce.

Gwen, sorpresa, si voltГІ e vide un uomo in piedi a pochi metri da lei. Indossava una lunga tunica scarlatta e le sorrideva con atteggiamento benevolo. Non poteva credere a quanto assomigliasse a suo padre, il re.

“Sapevo che avrebbe mandato qualcuno prima o poi,” disse Kristof. “I suoi sforzi per riportarmi dalla sua parte sono infiniti. Prego, vieni avanti,” le fece cenno con una mano, quindi si voltò e fece strada.

Gwen lo seguì mentre percorrevano un corridoio di pietra dal soffitto arcuato che portava gradualmente lungo le rampe che salivano circolarmente ai livelli superiori della torre. Gwen si trovò presa alla sprovvista: si era aspettata un monaco folle, un fanatico religioso, e fu invece sorpresa di trovare una persona affabile e buona, chiaramente in sé con la testa. Kristof non sembrava il folle e perduto di cui suo padre le aveva fornito una descrizione.

“Tuo padre chiede di te,” disse infine Gwen rompendo il silenzio dopo che ebbero passato un monaco che stava scendendo la rampa avanzando nella direzione opposta senza mai sollevare gli occhi da terra. “Vuole che ti porti a casa.”

Kristof scosse la testa.

“È questa la cosa di mio padre,” disse. “Pensa di aver trovato l’unica vera casa al mondo. Ma io ho imparato qualcosa.” Aggiunse guardandola. “Ci sono molte vere case in questo mondo.”

SospirГІ mentre continuavano a camminare. Gwen decise di lasciargli spazio, di non insistere troppo.

“Mio padre non accetterebbe mai ciò che sono,” aggiunse alla fine. “Non imparerà mai. Rimane incastrato nelle sue credenze vecchie e limitate e vuole imporle anche a me. Ma io non sono lui e lui questo non lo accetterà mai.”

“Non ti manca la tua famiglia?” chiese Gwen, sorpresa che volesse dedicare la propria vita a quella torre.

“Sì,” rispose con franchezza, sorprendendola. “Molto. La mia famiglia significa ogni cosa per me, ma la mia chiamata spirituale ha più importanza. La mia casa è qui adesso,” disse svoltando in un corridoio mentre Gwen lo seguiva. “Servo Eldof adesso. Lui è il mio sole. E lo conoscessi,” disse voltandosi verso di lei e fissandola con un’intensità che la spaventò, “sarebbe anche il tuo.”

Gwen distolse lo sguardo non apprezzando il fanatismo che scorse nei suoi occhi.

“Io non servo nessun altro che me stessa,” rispose.

Lui le sorrise.

“Magari questa è proprio la fonte di tutte le tue preoccupazioni terrene,” le rispose. “Nessuno può vivere in un mondo dove non si stia a servizio di qualcun altro. Proprio ora tu stessa stai servendo qualcun altro.”

Gwen lo guardГІ con espressione sospettosa.

“Come sarebbe?” gli chiese.

“Anche se pensi di servire te stessa,” le rispose, “sei tratta in inganno. La persona che stai servendo non sei tu, ma piuttosto la persona che i tuoi genitori hanno plasmato. Sono i tuoi genitori che servi, insieme a tutte le loro antiche credenze, passate loro a sua volta dai loro genitori. Quando sarai abbastanza coraggiosa da cacciare le loro credenze e servire te stessa?”

Gwen si accigliГІ, non accettando la sua filosofia.

“E accettare invece le credenze di chi?” gli chiese. “Di Eldof?”

Lui scosse la testa.

“Eldof è solo una guida,” le rispose. “Ti aiuta a cacciare chi eri un tempo. Ti aiuta a trovare la tua vera identità, tutto ciò cui eri destinato. Ecco chi devi servire. E non lo scoprirai mai fino a che il tuo finto io è in libertà. È questo che fa Eldof: ci libera tutti.”

Gwendolyn guardГІ i suoi occhi luccicanti e vide quanto fosse devoto. Era una devozione che la spaventava. Poteva dire da subito che era oltre ogni ragione e che non avrebbe mai lasciato quel posto.

Era spaventosa la tela che quell’Eldof aveva dipanato per indurre tutta quella gente in trappola in quel luogo: una scarsa filosofia con una logica tutta sua. Gwen non voleva sentire altro: era una trama che era determinata ad evitare.

Gwen si voltГІ e continuГІ a camminare scrollandosi di dosso tutto e risalendo la rampa, percorrendo il perimetro della torre, salendo gradualmente sempre piГ№ su, ovunque li stesse conducendo. Kristof le si mise affianco.

“Non sono venuta a mettere in discussione i meriti del vostro culto,” disse Gwen. “Non posso convincerti a tornare da tuo padre. Ho promesso di chiedere e così ho fatto. Se non valuti la tua famiglia, non posso insegnarti io a farlo.”

Kristof la guardГІ con serietГ .

“E pensi che mio padre valuti la famiglia?” le chiese.

“Molto,” rispose lei. “Almeno da ciò che posso vedere.”

Kristof scosse la testa.

“Lascia che ti mostri qualcosa.”

Kristof la prese per un gomito e la condusse lungo un altro corridoio sulla sinistra, poi salì una rampa di gradini e si fermò di fronte a una spessa porta di legno. La guardò con espressione esplicita, quindi la aprì scoprendo una serie di sbarre di ferro.

Gwen rimase lì in piedi, curiosa, nervosa di vedere ciò che voleva mostrarle. Poi si fece più vicina e guardò tra le sbarre. Fu inorridita vedendo una giovane e bellissima ragazza seduta da sola in una cella, intenta a guardare dalla finestra con i lunghi capelli che le ricoprivano il volto. Benché i suoi occhi fossero sgranati, non sembrò notare la loro presenza.

“Così è come mio padre si prende cura della famiglia,” le disse Kristof.

Gwen lo guardГІ curiosa.

“La sua famiglia?” gli chiese stupita.

Kristof annuì.

“Kathryn. L’altra figlia. Quella che tiene nascosta al mondo. È stata relegata qui, in questa cella. Perché? Perché è pazza. Perché non è perfetta come lui. Perché lui si vergogna di lei.”

Gwen fece silenzio sentendo un groppo allo stomaco mentre guardava tristemente quella ragazza, desiderosa di aiutarla. IniziГІ a porsi delle domande sul re e iniziГІ a chiedersi se ci fosse del vero nelle parole di Kristof.

“Per Eldof la famiglia vale,” continuò Kristof. “Non abbandonerebbe mai uno dei suoi. Lui tiene da conto i nostri veri noi stessi. Nessuno qui viene cacciato per vergogna. È il degrado dell’orgoglio. E coloro che sono pazzi sono i più vicini alla loro vera identità.”

Kristof sospirГІ.

“Quando incontrerai Eldof,” le disse, “capirai. Non c’è nessuno come lui, né mai ci sarà.”

Gwen poteva scorgere il fanatismo nei suoi occhi, vide quanto fosse perso in quel luogo, in quel culto, e capì che era già andato troppo oltre per poter mai pensare di fare ritorno dal re. Guardò oltre e vide la figlia del re lì seduta e si sentì sopraffatta dalla tristezza per lei, per tutto quel posto, per la loro famiglia in frantumi. La sua immagine perfetta del Crinale, dell’impeccabile famiglia reale, ora si stava spaccando. Quel luogo, come ogni altro, aveva i suoi lati oscuri. C’era una tacita battaglia che stava sorgendo lì ed era una battaglia di credenze.

Era una battaglia che Gwen sapeva di non poter vincere. Neppure ne aveva il tempo. Ripensò alla sua stessa famiglia abbandonata e si sentì spinta dall’urgenza di salvare suo marito e suo figlio. Le stava girando la testa in quel luogo, con l’aria pregna di incenso e la mancanza di finestre che la disorientavano. Voleva ottenere ciò che le serviva ed andarsene. Cercò di ricordare perché mai fosse venuta lì, poi le venne in mente: salvare il Crinale, come aveva giurato al re.

“Tuo padre crede che questa torre detenga un segreto,” disse Gwen venendo al punto. “Un segreto che potrebbe salvare il Crinale, che potrebbe salvare il vostro popolo.”

Kristof sorrise e incrociГІ le dita.

“Mio padre e le sue convinzioni,” rispose.

Gwen aggrottГІ la fronte.

“Stai dicendo che non è vero?” chiese. “Che non c’è nessun libro antico?”

Lui fece una pausa e distolse lo sguardo, poi sospirГІ profondamente e rimase in silenzio a lungo. Alla fine continuГІ.

“Ciò che dovrebbe esserti rivelato e quando,” disse, “va oltre i miei limiti. Solo Eldof può rispondere alle tue domande.”

Gwen provГІ un senso di urgenza crescerle dentro.

“Puoi portarmi da lui?”

Kristof sorrise, si voltГІ e iniziГІ a percorrere il corridoio.

“Con tanta certezza,” disse camminando rapidamente, già lontano, “quanto una falena verso una fiamma.”




CAPITOLO CINQUE


Stara si trovava sulla precaria piattaforma, cercando di non guardare in basso mentre veniva tirata sempre più su verso il cielo, vedendo il panorama che si espandeva a ogni strattone della fune. La piattaforma saliva sempre più in alto lungo il versante del Crinale e Stara rimaneva ferma, con il cuore che batteva forte, travestita, con il cappuccio abbassato sul volto e il sudore che le gocciolava lungo la schiena mentre sentiva il calore del deserto farsi più intenso. Era soffocante lassù e il giorno era appena iniziato. Tutt’attorno a lei c’erano gli onnipresenti rumori delle funi e delle pulegge, gli scricchiolii delle ruote mentre i soldati continuavano a tirare senza rendersi conto di chi lei fosse.

Presto la piattaforma si fermò e tutto rimase fermo mentre Stara si trovava sul picco del crinale: lì l’unico suono era l’ululato del vento. Il panorama era sbalorditivo e la fece sentire come se si trovasse in cima al mondo.

Le riportò alla mente dei ricordi. Stara ripensò alla prima volta che era arrivata al Crinale, subito dopo la Grande Desolazione, con Gwendolyn, Kendrick e tutti gli altri superstiti, la maggior parte dei quali più morti che vivi. Sapeva di essere stata fortunata ad essere sopravvissuta e all’inizio la vista del Crinale era stata un grande dono, era stata la vista della salvezza.

Eppure adesso eccola lì, pronta ad andarsene, a scendere dal Crinale tornando di nuovo dall’altra parte, a dirigersi nella Grande Desolazione, di nuovo in quello che poteva essere morte sicura. Accanto a lei il suo cavallo scalpitava facendo rimbombare gli zoccoli contro la piattaforma vuota. Allungò una mano e gli accarezzò la criniera con fare rassicurante. Quel cavallo sarebbe stato la sua salvezza, il suo biglietto d’uscita da quel posto; avrebbe reso il suo passaggio nella Grande Desolazione completamente diverso dal precedente.

“Non ricordo ordini del nostro comandante su questa visita,” disse la voce autoritaria di un soldato.

Stara rimase immobile, sapendo che stavano parlando con lei.

“Allora me ne occuperò con il tuo comandante stesso, e con mio cugino il re,” rispose Fithe con sicurezza portandosi accanto a lei e apparendo più convincente che mai.

Stara sapeva che stava mentendo, come sapeva cosa stesse rischiando per lei. Di questo gli era immensamente grata. Fithe l’aveva sorpresa mantenendo la sua parola, facendo qualsiasi cosa in suo potere, come promesso, per aiutarla a lasciare il Crinale, per aiutarla ad avere una possibilità di andare a cercare Reece, l’uomo che amava.

Reece. Il cuore di Stara le doleva al pensiero. Avrebbe lasciato questo posto, per quanto fosse sicuro, e avrebbe attraversato la Grande Desolazione, avrebbe attraversato gli oceani, avrebbe attraversato il mondo, tutto per una sola possibilitГ  di dirgli quanto lo amasse.

Per quanto odiasse mettere Fithe in pericolo, aveva bisogno di questo. Aveva bisogno di rischiare tutto per trovare colui che amava. Non poteva starsene al sicuro nel Crinale, non importava quanto glorioso, ricco e sicuro fosse, fino a che non si fosse riunita con Reece.

I cancelli di ferro della piattaforma si aprirono cigolando e Fithe le prese un braccio accompagnandola mentre lei continuava a tenere basso il cappuccio, dato che quel travestimento funzionava. Scese dalla piattaforma di legno e si trovò sul duro altopiano di roccia del Crinale. Soffiava un vento ululante, abbastanza forte da farle perdere l’equilibrio, ma si tenne stretta alla criniera del cavallo con il cuore che batteva forte mentre sollevava lo sguardo e vedeva quella vastità, la pazzia di ciò che stava per fare.

“Tieni la testa bassa e il cappuccio abbassato,” le sussurrò Fithe con urgenza. “Se ti vedono, se capiscono che sei una ragazza, sapranno che non dovresti essere qui. Ti rimanderanno indietro. Aspetta che raggiungiamo l’estremità del crinale. C’è un’altra piattaforma che aspetta di portarti giù dall’altra parte. Porterà te, te soltanto.”

Il respiro di Stara accelerò mentre i due attraversavano l’ampio altopiano passando vicino ai cavalieri e camminando rapidamente. Stara teneva la testa bassa, lontana dagli occhi inquisitori dei soldati.

Alla fine si fermarono e Fithe sussurrò: “Va bene. Guarda.”

Stara tirò indietro il cappuccino, i capelli ricoperti di sudore, e subito rimase frastornata per la visuale: due enormi bellissimi soli ancora rossi si levavano nella gloriosa mattina ricoprendo il cielo di milioni di sfumature di rosa e viola. Sembrava l’alba del mondo.

Guardando davanti a sé vide l’intera Grande Desolazione distesa lì davanti che sembrava allungarsi fino all’estremità del mondo. In lontananza c’era il furioso muro di sabbia e nonostante tutto Stara guardò in basso. Arretrò per la sua paura delle altezze e immediatamente desiderò non aver guardato.

LГ  sotto vide la ripida discesa che portava alla base del Crinale. E davanti a lei vide una piattaforma solitaria, vuota, che la aspettava.

Stara si voltГІ e guardГІ Fithe che la fissava con sguardo eloquente.

“Sei sicura?” le chiese sottovoce. Stara poteva vedere nei suoi occhi la paura per lei.

Provò una scossa di apprensione scorrerle attraverso il corpo, ma poi pensò a Reece e annuì esitante.

Lui le fece cenno con gentilezza.

“Grazie,” disse Stara. “Non so come potrò mai ripagarti.”

Lui le sorrise.

“Trova l’uomo che ami,” le rispose. “Se non posso essere io, che almeno sia qualcun altro.”

Le prese la mano, la baciò, si inchinò e si voltò allontanandosi. Stara lo guardò andare con il cuore colmo di apprezzamento per lui. Se non avesse amato Reece come lo amava, forse sarebbe stato l’uomo giusto da amare.

Stara si voltГІ, si fece determinata, si tenne alla criniera del cavallo e fece il primo fatidico passo sulla piattaforma. CercГІ di non guardare la Grande Desolazione, il viaggio che sarebbe quasi sicuramente significato la sua morte. Ma lo fece.

Le funi scricchiolarono, la piattaforma oscillГІ e mentre i soldati abbassavano le funi mezzo metro alla volta, iniziГІ a scendere, tutta sola, verso il nulla.

Reece, pensГІ, PuГІ darsi che io muoia. Ma attraverserГІ il mondo per te.




CAPITOLO SEI


Erec si trovava a prua sulla sua nave, Alistair e Strom accanto a lui, e scrutava le acque impetuose del fiume dell’Impero sotto di loro. Guardava le correnti che portavano la nave a sinistra dove il fiume si biforcava, lontano dal canale che li avrebbe condotti a Volusia, da Gwendolyn e dagli altri, e si sentiva distrutto. Ovviamente voleva salvare Gwendolyn, ma si sentiva anche in dovere di adempiere al sacro giuramento fatto a quegli abitanti liberati di salvare il villaggio vicino e spazzare via le guarnigioni dell’Impero che si trovavano lì. Dopotutto se non l’avesse fatto i soldati dell’Impero avrebbero presto ucciso gli uomini liberati e tutti gli sforzi di Erec per renderli liberi sarebbero valsi a nulla e il loro villaggio sarebbe finito nuovamente nelle mani dell’Impero.

Erec sollevò lo sguardo e studiò l’orizzonte, cosciente del fatto che a ogni momento che passava, a ogni folata di vento, a ogni colpo di remo, si stavano allontanando sempre più da Gwendolyn, dalla sua originale missione. Eppure a volte sapeva che bisognava staccarsi da una missione per fare ciò che era più onorevole e giusto. Si rendeva conto che a volte la missione non era sempre ciò che si pensava fosse. A volte cambiava di continuo, a volte era un viaggio parallelo lungo un tragitto che terminava in una missione reale.

Eppure Erec si era convinto dentro di sé di sconfiggere la guarnigione dell’Impero il più in fretta possibile e di prendere poi la biforcazione del fiume in direzione di Volusia per salvare Gwendolyn prima che fosse troppo tardi.

“Signore!” gridò una voce.

Erec sollevò lo sguardo e vide uno dei suoi soldati in alto sull’albero maestro che indicava l’orizzonte. Si voltò per guardare e mentre la nave svoltava a un’ansa del fiume e le correnti si facevano più forti, il suo sangue iniziò a scorrere più rapidamente vedendo un forte dell’Impero, pieno zeppo di soldati, arroccato sulla riva del fiume. Era uno scialbo edificio a pianta quadrata, fatto di pietra e di poco alto da terra, con supervisori dell’Impero disposti tutt’attorno, ma con nessuno che guardasse verso il fiume. Stavano invece osservando il villaggio di schiavi sotto di loro, gremito di abitanti che lavoravano sotto la frusta e il bastone dell’Impero. I soldati frustavano senza pietà gli schiavi, torturandoli nelle strade e facendoli lavorare duramente mentre loro guardavano e ridevano alla scena.

Erec arrossì di indignazione, avvampando per l’ingiustizia di tutto questo. Si sentiva giustificato nell’aver portato i suoi uomini da questa parte del fiume ed era determinato a punire i torti e a fargliela pagare. Poteva benissimo trattarsi di una goccia nell’oceano della farsa dell’Impero, ma non si poteva mai sottovalutare, Erec lo sapeva bene, ciò che significasse la libertà anche per pochi uomini.

Erec vide le coste piene di navi dell’Impero, sorvegliate con noncuranza dato che nessuno si aspettava un attacco. Ovviamente non si aspettavano nulla: non c’erano eserciti ostili nell’Impero, niente che il vasto contingente dell’Impero potesse temere.

CioГЁ, niente tranne Erec.

Erec sapeva che sebbene lui e i suoi uomini fossero in minoranza numerica, avevano ancora il vantaggio della sorpresa. Se fossero riusciti ad andare a segno abbastanza velocemente, forse avrebbero potuto batterli.

Si voltГІ verso i suoi uomini e vide Strom in piedi vicino a lui in trepidante attesa di un suo ordine.

“Prendi il comando della nave vicino a me,” comandò Erec al fratello minore e prima ancora che avesse finito di pronunciare le parole lui era già scattato in azione. Attraversò il ponte di corsa, balzò oltre il corrimano portandosi nella nave che stava navigando vicino alla loro e si diresse velocemente a prua prendendo il comando.

Erec si voltГІ poi verso i suoi soldati che gli si erano affollati attorno aspettando delle indicazioni.

“Non voglio che si allarmino per la nostra presenza,” disse. “Dobbiamo avvicinarci il più possibile. Arcieri, ai vostri posti!” gridò. “E voi, prendete tutti le vostre lance e inginocchiatevi!”

I soldati presero tutti posizione accucciandosi lungo il corrimano, tutti disposti in file, con lance e archi pronti, tutti ben disciplinati e in paziente attesa di un ulteriore ordine. Le correnti incrementarono ed Erec vide le forze dell’Impero farsi minacciosamente più vicine. Sentì nelle vene una sensazione familiare: c’era battaglia nell’aria.

Si avvicinarono sempre più, ora si trovavano ad appena cento metri, e il cuore di Erec stava battendo rapidamente nella speranza che non li vedessero, sentendo l’impazienza di tutti i suoi uomini attorno a lui che aspettavano di attaccare. Dovevano solo arrivare a distanza di tiro e sapeva che ogni spinta dell’acqua, ogni metro che guadagnavano era di altissimo valore. Avevano solo una possibilità con le loro lance e frecce e non poteva andare a vuoto.

Dai, pensò Erec. Solo un po’ più vicino.

Il cuore di Erec sprofondò vedendo però un soldato dell’Impero che improvvisamente si voltava ed esaminava l’acqua, strizzando poi gli occhi confuso. Stava per vederli, ma era troppo presto. Non erano ancora a tiro.

Anche Alistair accanto a lui lo vide. Prima che Erec potesse dare l’ordine di iniziare la battaglia troppo presto, Alistair si alzò improvvisamente in piedi e con un’espressione serena e sicura sollevò la mano destra. Apparve una sfera gialla e lei la scagliò in avanti.

Erec guardò con meraviglia la sfera di luce che galleggiava in aria su di loro e poi scendeva come un arcobaleno avvolgendoli nella nebbia e oscurando la visuale, proteggendoli quindi dagli occhi dell’Impero.

Il soldato dell’Impero ora guardava nella nebbia, confuso, non vedendo nulla. Erec si voltò e sorrise ad Alistair sapendo che, ancora una volta, senza di lei sarebbe stato perduto.

La flotta di Erec continuГІ a navigare, ora perfettamente nascosta, ed Erec guardГІ Alistair con gratitudine.

“La tua mano è più forte della mia spada, mia signora,” le disse inchinandosi.

Lei gli sorrise.

“La tua battaglia deve ancora essere vinta,” gli rispose.

Il vento li portò più vicini, sempre avvolti dalla nebbia, ed Erec poté vedere tutti i suoi uomini trepidanti di scoccare le frecce e di scagliare le lance. Capì: anche la sua lancia gli prudeva in mano.

“Non ancora,” sussurrò.

Mentre uscivano dalla nebbia Erec iniziò a scorgere scorci dei soldati dell’Impero. Si trovavano sui bastioni con le muscolose schiene che luccicavano al sole, sollevando le fruste e colpendo gli schiavi. Gli schiocchi delle fruste si sentivano anche da lì. Altri soldati guardavano il fiume, evidentemente richiamati dall’uomo di vedetta. Scrutavano tutti sospettosamente la nebbia, come se subodorassero qualcosa.

Erec era ora vicinissimo, le sue navi si trovavano ad appena trenta metri e il cuore gli batteva nelle orecchie. La nebbia di Alistair iniziò a diradarsi e capì che era giunto il momento.

“Arcieri!” gridò. “Tirate!”

Decine dei suoi arcieri lungo tutta la flotta si alzarono in piedi, presero la mira e scoccarono le frecce.

Il cielo si riempì del rumore di frecce che lasciavano una scia volando in aria, oscurandola con una nuvola di letali dardi che disegnavano un arco e scendevano verso la costa dell’Impero.

Un attimo dopo le grida risuonarono nell’aria mentre la nuvola di frecce scendeva sui soldati dell’Impero che gremivano il forte. La battaglia era iniziata.

Suonarono corni ovunque mentre le guarnigioni dell’Impero venivano allertate per imbastire la difesa.

“LANCE!” gridò Erec.

Strom fu il primo ad alzarsi e a tirare la sua lancia, una bellissima asta d’argento che fischiò in aria volando a tremenda velocità e trovando posto nel cuore dello stupito comandante dell’Impero.

Erec subito lanciò anche la sua, una lancia dorata che colpì un comandante dell’Impero dall’altra parte del forte. Lungo tutta la sua flotta i suoi ranghi di uomini si unirono a loro scagliando lance e abbattendo sorpresi soldati dell’Impero che non ebbero neanche il tempo di organizzarsi.

Ne caddero a decine ed Erec capì che la prima raffica aveva avuto successo. Ma restavano ancora centinaia di soldati e quando la nave di Erec si fermò toccando con asprezza la riva, capì che era tempo di passare alla battaglia corpo a corpo.

“CARICA!” gridò.

Erec sguainò la spada, balzò sul corrimano e saltò in aria atterrando cinque metri buoni di sotto, sulla spiaggia sabbiosa dell’Impero. Tutt’attorno a lui i suoi uomini lo seguirono, centinaia di forti soldati lanciati alla carica sulla spiaggia, schivando le frecce e le lance dell’Impero mentre uscivano dalla nebbia e si dirigevano verso il forte. Anche i soldati dell’Impero si organizzarono e accorsero ad accoglierli.

Erec si preparò mentre un imponente soldato dell’Impero gli piombava addosso gridando e sollevando la sua ascia facendola roteare da ogni parte per colpirlo in testa. Erec si abbassò, lo pugnalò al ventre e corse avanti. Poi, spinto dai suoi riflessi, trafisse un altro soldato al cuore, si fece da parte evitando il colpo d’ascia di un altro, quindi ruotò e lo colpì al petto. Un altro lo attaccò da dietro e senza girarsi lui gli diede una gomitata ai reni facendolo inginocchiare.

Erec correva tra i ranghi dei soldati, più rapido, più veloce e più forte di chiunque altro sul campo, conducendo i suoi uomini mentre uno alla volta eliminavano i soldati dell’Impero facendosi strada verso il forte. Il combattimento si fece più cruento e i soldati dell’Impero, quasi il doppio di loro, si dimostravano feroci avversari. Ad Erec si spezzò il cuore vedendo molti dei suoi uomini uccisi attorno a lui.

Ma senza perdere la determinazione continuò a muoversi come un fulmine. Insieme a Strom che gli stava accanto li superava in astuzia. Attraversò la spiaggia come un demone liberato dall’inferno.

Molto presto il gioco era fatto. Tutto rimase fermo sulla sabbia mentre la spiaggia diveniva rossa, piena di cadaveri, soprattutto dalla parte dell’Impero. Moltissimi erano però anche corpi dei suoi stessi uomini.

Erec, infuriato, corse verso il forte ancora pieno zeppo di soldati. Percorse i gradini che lo costeggiavano, seguito da tutti i suoi uomini, e si scontrò con un soldato che correva scendendo verso di lui. Lo pugnalò al cuore proprio prima che questi potesse calare il suo martello con entrambe le mani sulla sua testa. Erec si fece da parte e il soldato, morto, rotolò giù dai gradini mentre lui passava oltre. Ne apparve un altro che cercò di colpire Erec prima che potesse reagire, ma Strom si fece avanti e con forte clangore e sprazzo di scintille bloccò il colpo prima che potesse raggiungere suo fratello. Poi diede un colpo al soldato con l’elsa della spada facendolo cadere tra le grida incontro alla propria morte.

Erec continuò la sua corsa facendo quattro gradini alla volta fino a raggiungere il livello più alto di quel forte di pietra. Le decine di soldati dell’Impero che restavano al piano superiore erano ora terrorizzati vedendo tutti i loro fratelli morti e quando videro che Erec e i suoi uomini giungevano in cima si voltarono e iniziarono a fuggire. Corsero verso la parte opposta del forte, verso le strade del villaggio, ma vennero accolti da una sorpresa: ora gli abitanti si erano fatti più coraggiosi. Le loro espressioni terrorizzate erano mutate in espressioni di rabbia e tutti insieme insorsero. Si rivoltarono contro i loro aguzzini dell’Impero strappando loro le fruste ed iniziando a colpire i soldati in fuga mentre correvano dall’altra parte.

I soldati dell’Impero non se l’aspettavano e uno alla volta caddero sotto le fruste degli schiavi. Gli schiavi continuarono a frustarli anche mentre giacevano al suolo, sempre di più fino a che smisero di muoversi. Giustizia era stata fatta.

Erec rimase fermo, in cima al forte, respirando affannosamente con i suoi uomini accanto, contemplando il tutto in silenzio. La battaglia era finita. In basso i frastornati abitanti ebbero bisogno di un minuto per rendersi conto di ciГІ che era successo, ma presto capirono.

Uno alla volta iniziarono ad esultare e forti grida di giubilo si levarono in cielo, sempre piГ№ alte, mentre i loro volti si colmavano di gioia. Erano grida di libertГ . Erec sapeva che per questo ne era valsa la pena. Era questo che significava valore.




CAPITOLO SETTE


Godfrey sedeva sul pavimento di pietra nella stanza sotterranea del palazzo di Silis. Akorth, Fulton, Ario e Merek erano al suo fianco, Dray ai suoi piedi e Silis e i suoi uomini di fronte a loro. Sedevano tutti seri, con le teste basse, le mani incrociate attorno alle ginocchia, sapendo di trovarsi nel corso di una veglia funebre. La stanza tremava sotto i colpi della guerra che si stava svolgendo di sopra, dell’invasione di Volusia, del rumore della città che veniva saccheggiata riverberando nelle loro orecchie. Sedevano tutti lì, in attesa, mentre i Cavalieri del Sette facevano a pezzi Volusia sopra le loro teste.

Godfrey prese un’altra lunga sorsata dal fiasco di vino, l’ultimo rimasto nella città, cercando di annebbiare il dolore, la certezza della sua morte incombente per mano dell’Impero. Fissava i suoi piedi chiedendosi come si potesse essere giunti a tanto. Lune prima si trovava al sicuro e in salvo all’interno dell’Anello, bevendo a più non posso, senza alcun’altra preoccupazione se non quale taverna o bordello visitare ogni notte. Ed ora eccolo lì, dall’altra parte del mare, nell’Impero, intrappolato sottoterra in un città sotto assedio dopo essersi murato da sé nella propria bara.

Gli ronzava la testa mentre cercava di schiarirsi le idee e di concentrarsi. Percepiva ciГІ che i suoi amici stavano pensando, poteva sentire il disprezzo nei loro sguardi: non avrebbero mai dovuto ascoltarlo, sarebbero dovuti scappare quando ne avevano avuto la possibilitГ . Se non fossero tornati a prendere Silis avrebbero potuto raggiungere il porto, prendere una nave ed essere ora ben lontani da Volusia.

Godfrey cercava di trovare sollievo nel fatto che almeno avevano ripagato il favore e avevano salvato la vita di quella donna. Se non l’avesse raggiunta in tempo per avvisarla di scendere, sarebbe sicuramente rimasta lassù e ora sarebbe morta. Almeno era valso a qualcosa, anche se non era da lui.

“E ora?” chiese Akorth.

Godfrey si voltГІ e lo vide guardarlo con espressione accusatoria, dando voce alla domanda che stava sicuramente bruciando nella mente di tutti.

Godfrey si guardò attorno osservando la piccola e buia stanza dove le torce quasi estinte baluginavano. Le loro misere provviste e un fiasco di birra erano tutto ciò che avevano, sistemate in un angolo. Era un’attesa di morte. Poteva ancora sentire il rumore della guerra di sopra, anche attraverso quelle spesse mura, e si chiese quanto a lungo avrebbero potuto ancora evitare quell’invasione. Ore? Giorni? Quanto sarebbe passato prima che i Cavalieri del Sette conquistassero Volusia? Se ne sarebbero andati?

“Non è noi che stanno cercando,” osservò Godfrey. “Si tratta di Impero contro Impero. Hanno una vendetta da perpetrare contro Volusia. Noi non centriamo nulla.”

Silis scosse la testa.

“Occuperanno questo posto,” disse cupamente squarciando il silenzio con la sua voce forte. “I Cavalieri del Sette non si ritirano mai.”

Fecero tutti silenzio.

“Allora quanto possiamo vivere qua sotto?” chiese Merek.

Silis scosse la testa e diede un’occhiata alle loro provviste.

“Una settimana forse,” rispose.

Vi fu un improvviso e tremendo rimbombo da sopra e Godfrey rabbrividì sentendo il terreno tremare sotto di sé.

Silis balzГІ in piedi, agitata, e iniziГІ a camminare osservando il soffitto da dove iniziava a filtrare la polvere che ricadeva su di loro. Sembrava ci fosse stata una valanga di pietra sopra di loro e lei valutГІ la situazione da proprietaria preoccupata.

“Hanno distrutto il mio castello,” disse, parlando più con se stessa che con loro.

Godfrey vide un’espressione preoccupata sul suo volto e vi riconobbe l’aspetto di chi ha perso tutto ciò che aveva.

Silis si voltГІ a guardarlo con riconoscenza.

“Sarei là sopra adesso se non fosse stato per te. Ci hai salvato la vita.”

Godfrey sospirГІ.

“E per cosa?” chiese irritato. “Quale vantaggio ci ha portato? Di morire qua sotto?”

Silis apparve tetra.

“Se restiamo qui,” chiese Merek, “moriremo tutti?”

Silis si voltò verso di lui e annuì tristemente.

“Sì,” rispose inespressiva. “Non oggi o domani, ma nel giro di pochi giorni sì. Non possono arrivare quaggiù, ma noi non possiamo salire di sopra. Molto presto finiremo le provviste.”

“Allora cosa facciamo?” chiese Ario guardandola. “Hai in programma di morire qua sotto? Perché io proprio no.”

Silis continuГІ a camminare con la fronte corrugate e Godfrey vide che stava pensando profondamente.

Poi finalmente si fermГІ.

“C’è una possibilità,” disse. “È rischioso. Ma potrebbe anche funzionare.”

Si voltГІ a guardarli e Godfrey trattenne il respiro con speranza e anticipazione.

“Ai tempi di mio padre c’era un passaggio sotterraneo sotto il castello,” disse. “Passava attraverso le mura del palazzo. Potremmo trovarlo, se ancora esiste, e andarcene di notte, con la copertura dell’oscurità. Possiamo cercare di attraversare la città fino al porto. Possiamo prendere una delle mie navi, se ne sono rimaste, e andarcene da questo posto.”

Un lungo e insicuro silenzio calГІ nella stanza.

“Rischioso,” disse infine Merek con tono greve. “La città sarà piena di soldati dell’Impero. Come possiamo attraversarla senza essere uccisi?”

Silis scrollГІ le spalle.

“Vero,” disse. “Se ci prendono ci uccideranno. Ma se emergiamo quando è buio e uccidiamo tutti quelli che troviamo sulla nostra strada, forse raggiungeremo il porto.”

“E se troviamo il passaggio e raggiungiamo il porto e poi le tue navi non sono lì?” chiese Ario.

Lei lo guardГІ.

“Nessun piano è sicuro,” disse. “Potremmo benissimo morire là fuori, come potremmo morire qua sotto.”

“La morte arriva per tutti,” si intromise Godfrey sentendo un nuovo senso di convinzione mentre si alzava in piedi e guardava gli altri, provando una sensazione di risoluzione che sopraffaceva le sue paure. “Si tratta di come preferiamo morire: qua sotto nascosti come ratti? O là sopra diretti verso la nostra libertà?”

Lentamente, uno alla volta, anche gli altri si alzarono. Lo guardarono tutti e annuirono solennemente.

In quel momento capì che il piano era stato deciso: quella notte sarebbero fuggiti.




CAPITOLO OTTO


Loti e Loc camminavano fianco a fianco sotto il bruciante sole del deserto, incatenati l’uno all’altra e frustati dal supervisore dell’Impero alle loro spalle. Camminavano attraverso al desolazione e Loti si chiese ancora una volta perché suo fratello si fosse offerto volontario per quel pericoloso e faticosissimo lavoro. Era forse impazzito?

“Cosa stavi pensando?” gli sussurrò. Vennero spinti da dietro e mentre Loc perdeva l’equilibrio ed inciampava in avanti Loti lo prese per il braccio buono prima che cadesse.

“Perché avresti dovuto offrirci entrambi volontari?” chiese.

“Guarda avanti,” le disse riprendendo l’equilibrio. “Cosa vedi?”

Loti sollevò lo sguardo e non vide altro che monotono deserto che si allungava davanti a loro, pieno di schiavi, il terreno di dura roccia. Oltre a questo vide una salita che conduceva a un crinale in cima al quale lavoravano una decina di altri schiavi. Ovunque c’erano supervisori, il rumore delle fruste era pesante nell’aria.

“Non vedo niente,” rispose impaziente. “Sempre lo stesso: schiavi che vengono sfruttati fino alla morte dai supervisori.”

Loti sentì improvvisamente un profondo dolore alla schiena, come se le stessero strappando la pelle, e gridò mentre la frustavano e la frusta le tagliava la pelle.

Si voltГІ e vide il volto accigliato del supervisore alle sue spalle.

“Fai silenzio!” le ordinò.

Loti aveva voglia di gridare per l’intenso dolore, ma trattenne la lingua e continuò a camminare accanto a Loc con le catene che tintinnavano sotto il sole. Giurò di uccidere tutti quegli uomini dell’Impero non appena avesse potuto.

Continuarono a camminare in silenzio: l’unico rumore era quello dei loro stivali che facevano scricchiolare la roccia sotto di essi. Alla fine Loc le si avvicinò di più.

“Non è quello che vedi,” le sussurrò, “ma quello che non vedi. Guarda meglio. Lassù, sulla dorsale.”

Lei osservГІ meglio il paesaggio ma non vide niente.

“Non c’è che un supervisore lassù. Uno. Per due decine di schiavi. Guarda dietro, nella vallata, e guarda quanti ce ne sono.”

Loti si guardò furtivamente alle spalle e nella valle che si allungava lì vide decine di supervisori che sorvegliavano gli schiavi mentre rompevano la roccia e dissodavano la terra. Si voltò a guardare di nuovo in cima al crinale e capì per la prima volta cosa suo fratello avesse in mente. Non solo c’era solamente un supervisore, ma ancora meglio: c’era una zerta accanto a lui. Un mezzo di fuga.

Era impressionata.

Lui le fece un cenno eloquente.

“La cima del crinale è la postazione più pericolosa,” le sussurrò. “Quella più calda e meno desiderata dagli schiavi e dai supervisori. Ma questa, sorella mia, è un’opportunità.”

Loti ricevette improvvisamente un calcio alla schiena e inciampГІ in avanti insieme a Loc. I due si raddrizzarono e continuarono a risalire il pendio, Loti ansimando per prendere fiato e cercando di resistere sotto il calore che cresceva man mano che salivano. Ma questa volta, sollevando lo sguardo, il cuore le si gonfiГІ di ottimismo battendole piГ№ forte in gola: finalmente avevano un piano.

Loti non aveva mai considerato suo fratello come coraggioso, come desideroso di rischiare, di affrontare l’Impero. Ma ora, mentre lo guardava, poteva vedere la disperazione nei suoi occhi, poteva finalmente vedere che stava pensando quanto lei. Lo vide sotto una nuova luce e lo ammirò fortemente per questo. Era esattamente il tipo di piano che lei stessa avrebbe potuto programmare.

“E le nostre catene?” gli sussurrò quando si fu accertata che il supervisore non li stava guardando.

Loc le fece cenno con la testa.

“La sua sella,” le rispose. “Guarda meglio.”

Loti guardò e vide una spada che penzolava dalla sella, quindi capì che potevano usarla per tagliare le catene. Avrebbero potuto liberarsi di quel posto.

Sentendo per la prima volta un senso di ottimismo da quando erano stati catturati, Loti diede un’occhiata agli altri schiavi che si trovavano in cima al picco. Erano tutti uomini e donne distrutti, noncurantemente chini ai loro compiti, nessuno con un briciolo di senso di sfida rimasto negli occhi. Capì subito che nessuno di loro avrebbe costituito il minimo aiuto per la loro causa. Ma andava bene così: non avevano bisogno di aiuto. Avevano solo bisogno di una possibilità, e tutti questi altri schiavi potevano servire da distrazione.

Loti sentì un ultimo forte calcio alla base della schiena ed inciampò in avanti atterrando di faccia nella polvere mentre raggiungevano il picco del crinale. Sentì delle mani rudi che la trascinavano di nuovo in piedi e si voltò vedendo il supervisore che la spingeva con forza prima di voltarsi e ridiscendere il pendio lasciandoli lì.

“Mettetevi in riga!” gridò un nuovo supervisore, l’unico in cima al rilievo.

Loti sentì le sue mani callose che la prendevano per il retro del collo e la spingevano. Le catene tintinnarono mentre lei si affrettava in avanti, inciampando nel campo di lavoro degli schiavi. Le porsero una lunga zappa con l’estremità di ferro e poi il supervisore le diede un’ultima spinta aspettandosi di vederla iniziare a dissodare la terra insieme agli altri.

Loti si voltò, vide Loc che le faceva un cenno significativo e si sentì ardere nelle vene: capì che era ora o mai più.

LanciГІ un grido, sollevГІ la zappa e la fece roteare calandola con tutta la sua forza. Fu scioccata sentendo il colpo e vedendo che andava a conficcarsi dietro alla testa del supervisore.

Loti l’aveva brandita così rapidamente, con tale decisione che non si era chiaramente aspettata quel risultato. Era chiaro che nessuno schiavo lì, sorvegliati dai supervisori e senza nessun posto dove andare, avrebbe mai osato fare una mossa del genere.

Loti sentì la vibrazione della zappa nelle mani e lungo le braccia e guardò scioccata prima e soddisfatta poi mentre la guardia cadeva in avanti. Con la schiena che ancora bruciava per le frustate si sentì come vendicata.

Suo fratello le si avvicinГІ, sollevГІ anche la sua zappa e mentre il supervisore iniziava ad agitarsi calГІ gliela calГІ sulla testa.

Alla fine l’uomo rimase immobile.

Respirando affannosamente e ricoperta di sudore, con il cuore che le batteva a mille, Loti lasciò cadere incredula la zappa, spruzzata dal sangue del supervisore, e si scambiò un’occhiata con suo fratello. Ce l’avevano fatta.

Loti poteva sentire le occhiate curiose degli altri schiavi attorno a lei e voltandosi vide che la stavano guardando tutti a bocca aperta. Stavano tutti appoggiati alle loro zappe senza piГ№ lavorare e li osservavano con orrore e incredulitГ .

Loti sapeva di non avere tempo da perdere. Corse con Loc accanto, sempre incatenati insieme, fino alla zerta; prese la spada lunga dalla sella con entrambe le mani, la sollevГІ in alto e si voltГІ

“Fai attenzione!” gridò a Loc.

Lui si preparò mentre lei la abbassava con tutta la sua forza e tagliava le catene. Sprizzò scintille e lei sentì la soddisfacente libertà delle catene tagliate.

Si voltò per andarsene, ma udì un grido.

“E noi!?” gridò una voce.

Loti si girò e vide altri schiavi che correvano verso di lei tendendo le catene. Si voltò di nuovo e vide la zerta che aspettava, sapendo che il tempo era prezioso. Voleva andare verso est il prima possibile, dirigersi verso Volusia, l’ultimo posto dove sapeva che Dario stava andando. Forse l’avrebbe trovato lì. Ma allo stesso tempo non poteva sopportare di vedere i suoi fratelli e sorelle incatenati.

Loti corse in avanti attraverso la folla di schiavi tagliando catene a destra e a sinistra fino a che tutti furono liberi. Non sapeva dove sarebbero andati ora, ma almeno avevano la libertГ  di fare ciГІ che desideravano.

Loti si voltò, montò sulla zerta e porse una mano a Loc. Lui le diede la mano buona e lei lo tirò in sella, poi diede un deciso colpo ai fianchi dell’animale.

Mentre partivano Loti era entusiasta della sua libertà e in lontananza poteva già udire le grida dei supervisori dell’Impero che l’avevano vista. Ma non aspettò. Si voltò e indirizzò la zerta giù dal pendio, dalla parte opposta, galoppando nel deserto, lontano dai supervisori, verso la sua libertà.




CAPITOLO NOVE


Dario sollevò lo sguardo scioccato fissando negli occhi l’uomo misterioso inginocchiato davanti a lui.

Suo padre.

Mentre lo guardava negli occhi il senso del tempo e dello spazio svanirono e tutta la sua vita si immobilizzò per un momento. Tutto tornò improvvisamente a posto: quella sensazione che Dario aveva avuto fin dall’inizio, dal primo momento in cui aveva posato lo sguardo su di lui. L’aspetto familiare, quella certezza che gli aveva scosso la coscienza e che l’aveva pungolato fin dal loro primo incontro.

Suo padre.

La parola stessa non sembrava neppure reale.

Eccolo lì, inginocchiato su di lui dopo avergli appena salvato la vita parando un colpo mortale da parte di quella bestia dell’Impero, un colpo che di certo l’avrebbe ucciso. Aveva rischiato la sua vita per entrare lì, solo, in quell’arena, proprio nel momento in cui Dario stava per morire.

Aveva rischiato tutto per lui. Per suo figlio. Ma perchГ©?

“Padre,” disse Dario, più un sussurro che una voce, colmo di ammirazione.

Dario provò un’ondata d’orgoglio rendendosi conto che era legato a quell’uomo, a quel bravo guerriero, il più bravo che mai avesse incontrato. Gli faceva sentire che forse anche lui sarebbe potuto essere un bravo guerriero.

Suo padre allungò una mano e lo strinse con decisione. Lo tirò in piedi e Dario si sentì rinnovato. Si sentiva come se ci fosse un motivo per combattere, un motivo per andare avanti.

Subito raccolse la sua spada caduta a terra, si voltò e insieme a suo padre affrontò l’orda di soldati dell’Impero che stava sopraggiungendo. Ora che le mostruose creature erano tutte morte, uccise da suo padre, era suonato un corno e l’Impero aveva spedito fuori una marea di soldati.

La folla ruggì e Dario guardò gli orribili volti dei soldati dell’Impero che stavano per piombare loro addosso brandendo lunghe lance. Dario si concentrò e sentì il mondo che rallentava mentre si preparava a combattere per la sua vita.

Un soldato lo attaccò e gli tirò una lancia contro il volto, ma Dario la schivò prima che gli colpisse l’occhio, poi ruotò e mentre il soldato si avvicinava lo placcò colpendolo alla tempia con l’elsa della spada e mandandolo a terra. Schivò un altro colpo di spada da parte di un soldato e attaccò di lato buttandosi in avanti e trafiggendolo al ventre.

Un altro soldato lo attaccò di lato puntandogli la lancia contro il costato, muovendosi troppo velocemente perché Dario potesse reagire. Ma si sentì il rumore di legno che andava a scontrarsi con il metallo e voltandosi Dario fu grato di vedere che suo padre era apparso usando il bastone per bloccare la lancia prima che lo colpisse. Poi si fece avanti e colpì il soldato in mezzo agli occhi mandandolo a terra.

Suo padre ruotò con il bastone e affrontò il gruppo di aggressori: il clic clac del suo bastone riempiva l’aria mentre deviava un colpo di lancia dopo l’altro. Suo padre danzava tra i soldati come una gazzella ondeggiante in mezzo agli uomini, e brandiva il suo bastone con una tale grazia, ruotando e colpendo i soldati espertamente, con colpi ben assestati alla gola, tra gli occhi, al diaframma, e facendoli cadere da ogni parte. Era come un fulmine.

Dario, ispirato, combatteva a sua volta come un uomo posseduto da suo padre, tirando fuori tutta l’energia possibile da sé: colpiva e schivava facendo sbattere la sua spada contro quelle dei soldati e provocando scintille mentre avanzava temerario in mezzo al gruppo. Erano più grandi di lui, ma Dario aveva più spirito e diversamente da loro stava combattendo per la sua vita, e per suo padre. Riusciva a far cadere soldati a destra e a sinistra.

L’ultimo soldato dell’Impero si lanciò contro di lui sollevando in alto la spada con entrambe le mani, ma Dario reagì buttandosi in avanti e colpendolo al cuore. L’uomo sgranò gli occhi e lentamente si immobilizzò cadendo a terra morto.

Dario rimase in piedi accanto a suo padre, schiena contro schiena, respirando affannosamente e osservando il loro lavoro. Tutt’attorno a loro giacevano soldati dell’Impero morti. Avevano vinto.

Dario sentiva che lì, accanto a suo padre, avrebbe potuto affrontare qualsiasi cosa il mondo gli avesse scagliato contro; sentiva che insieme erano una forza irrefrenabile. E gli pareva surreale di trovarsi effettivamente a combattere accanto a lui. Suo padre, che aveva sempre sognato come una grandioso guerriero. Del resto non era una persona ordinaria.

Seguì un coro di corni e la folla esultò. Inizialmente Dario sperò che stessero esultando per la sua vittoria, ma poi delle enormi porte di ferro si aprirono dalla parte opposta dell’arena e capì che il peggio stava solo iniziando.

Si udì il suono di una tromba, più forte che mai, e gli ci volle un momento per capire che non era uno strumento umano, ma il barrito di un elefante. Guardando il cancello il cuore gli batteva per l’attesa. Poi improvvisamente apparvero, con suo grande shock, due elefanti completamente neri con lunghe zanne bianche e scintillanti, i musi contorti per la rabbia mentre si lanciavano alla carica e barrivano.

Il rumore scosse l’aria. Sollevarono le zampe anteriori e le calarono con un tonfo facendo tremare il terreno così forte che Dario e suo padre quasi persero l’equilibrio. In sella agli elefanti si trovavano soldati dell’Impero con in mano lance e spade, vestiti con armature dalla testa ai piedi.

Mentre Dario li guardava osservando quelle bestie più grandi che mai, capì che non c’era modo che lui e suo padre potessero vincere. Si voltò e vide suo padre lì in piedi, senza paura, che non arretrava ma guardava stoicamente in faccia la morte. Questo gli diede forza.

“Non possiamo vincere, padre,” disse Dario dando voce a ciò che era ovvio mentre gli elefanti iniziavano il loro attacco.

“L’abbiamo già fatto, figlio mio,” disse suo padre. “Trovandoci qui e affrontandoli, senza voltarci e scappare, li abbiamo già sconfitti. I nostri corpi potranno anche morire oggi, ma la nostra memoria vivrà, e sarà una memoria di valore!”

Senza dire una parola di piГ№ suo padre lanciГІ un grido e iniziГІ la carica. Dario, ispirato, gridГІ a sua volta e attaccГІ accanto a lui. Entrambi corsero incontro agli elefanti piГ№ veloci che potevano, senza esitare di fronte alla morte.

Il momento dell’impatto non fu ciò che Dario si era aspettato. Schivò una lancia mentre un soldati, in cima a un elefante, la lanciava contro di lui. Quindi sollevò la spada e colpì il piede della bestia che gli stava per andare addosso. Dario non sapeva come colpire un elefante, né se un colpo l’avrebbe in qualche modo ferito.

Non lo fece. Il colpo di Dario gli graffiГІ appena la pelle. La gigantesca bestia, infuriata, abbassГІ le zanne e ruotГІ di lato colpendo Dario alle costole.

Dario fece un volo di dieci metri in aria sentendo l’aria mancargli dai polmoni e atterrando di schiena per poi rotolare nella polvere. Continuò a rotolare cercando di riprendere fiato quando udì il sommesso grido della folla.

Si voltò e cercò di scorgere suo padre, preoccupato per lui. Con la coda dell’occhio lo vide scagliare la sua lancia in aria, contro il grande occhio di uno degli elefanti, poi rotolare da parte mentre la bestia si lanciava verso di lui.

Fu un colpo perfetto e la lancia si conficcò saldamente nell’occhio dell’animale. L’elefante gemette e barrì mentre le ginocchia vacillavano e cedevano facendolo cadere a terra e rotolare, colpendo anche l’altro elefante e sollevando un’enorme nuvola di polvere.

Dario si tirò in piedi, ispirato e determinato, e posò gli occhi su uno dei soldati dell’Impero che era caduto a sua volta e stava rotolando a terra. Il soldato si mise in ginocchio, si voltò e, sempre stringendo la sua lancia, mirò alla schiena del padre di Dario. L’uomo stava lì, ignaro. E Dario capì che in un attimo sarebbe stato morto.

Scattò in azione. Si avventò sul soldato, sollevò la spada e colpì la lancia levandogliela di mano. Poi ruotò e lo decapitò.

La folla gridГІ.

Ma Dario ebbe poco tempo per godere del proprio trionfo: udì un boato e voltandosi vide l’altro elefante che si era rimesso in piedi – con il proprio cavaliere in sella – e si stava ora lanciando contro di lui. Senza tempo per scappare da alcuna parte, Dario rimase sdraiato sulla schiena, prese la lancia e la tenne tesa in alto mentre il piede dell’elefante gli piombava addosso. Attese fino all’ultimo momento, poi rotolò di lato proprio quando la bestia stava per pestarlo e schiacciarlo a terra.

Dario sentì una forte folata mentre il piede dell’elefante gli piombava vicino mancandolo di pochi centimetri, poi udì un grido e il rumore di una lancia che si conficcava nella carne. Quindi si voltò e vide l’elefante che metteva un piede sulla lancia che stava dritta e gli trafisse completamente la zampa da una parte all’altra.

L’elefante ondeggiò e si lamentò correndo in cerchio mentre il soldato che gli stava sopra perdeva l’equilibrio e cadeva facendo un volo di una quindicina di metri gridando e morendo, ucciso dalla caduta.

L’elefante, ancora folle di rabbia, girò dalla parte opposta e colpì Dario con una zanna facendolo volare un’altra volta e rotolare dall’altra parte. Dario ebbe la sensazione che tutte le costole gli si spezzassero.

Mentre si metteva carponi cercando di riprendere fiato, sollevò lo sguardo vedendo suo padre che combatteva valorosamente contro diversi soldati dell’Impero che erano stati fatti uscire dai cancelli per assistere gli altri. Si voltava e colpiva con il suo bastone abbattendone diversi da ogni parte.

Il primo elefante che era caduto, con la lancia ancora nell’occhio, si rimise in piedi spronato da un altro soldato dell’Impero che gli era saltato sul dorso. Sotto la sua guida l’elefante barcollò ma poi si lanciò diretto contro il padre di Dario che, ignaro, stava continuando a combattere contro i soldati.

Dario vide ciò che stava accadendo e rimase fermo, inerme, suo padre troppo lontano per poterlo raggiungere in tempo. Il tempo rallentò e Dario vide l’elefante girarsi contro di lui.

“NO!” gridò.

Dario guardò con orrore mentre l’elefante correva in avanti, dritto contro suo padre che non si aspettava nulla. Dario attraversò di corsa il campo di battaglia affrettandosi a salvarlo in tempo. Ma sapeva che sebbene corresse era tutto inutile. Era come guardare il mondo che gli cadeva addosso e si sbriciolava a rallentatore.

L’elefante abbassò le zanne, si lanciò e trafisse il padre di Dario alla schiena.

L’uomo gridò con il sangue che gli usciva dalla bocca mentre l’elefante lo sollevava in aria.

Dario si sentì strozzare il cuore mentre suo padre, il più coraggioso guerriero che mai avesse visto, veniva sollevato in aria, trafitto da una zanna, lottando per liberarsi anche se stava morendo.

“PADRE!” gridò Dario.




CAPITOLO DIECI


Thorgrin si trovava alla prua della sua nave con la mano stretta sull’elsa della spada e guardava con shock e orrore l’enorme mostro che era emerso dalla profondità del mare. Aveva lo stesso colore del sangue dell’acqua sotto di lui e mentre si ergeva sempre più alto gettava ombra sulla poca luce che c’era in quella Terra del Sangue. Aprì la sua enorme mandibola mostrando decine di file di zanne e allungò i tentacoli in ogni direzione. Alcuni erano addirittura più lunghi della nave e sembrava che la creatura dal profondo dell’inferno si stesse allungando per abbracciarli.

Poi si tuffГІ contro la nave, pronta a divorarla tutta intera.

Accanto a Thorgrin, Reece, Selese, O’Connor, Mati, Elden ed Angel brandivano le loro armi e stavano fermi e senza paura, pronti ad affrontare quel mostro. Thor si fece più risoluto sentendo la Spada della Morte che vibrava nella sua mano e capendo che doveva agire. Doveva proteggere Angel e gli altri e sapeva che non poteva aspettare che la bestia li raggiungesse.

Thorgrin balzò in avanti per affrontarla mettendosi in piedi sul corrimano e sollevando la spada sopra la propria testa. Quando uno dei tentacoli si allungò per avvolgerlo di lato, lui fece ruotare la spada e lo mozzò. L’enorme tentacolo, tagliato, cadde sulla barca con un tonfo vuoto scuotendo il ponte, poi scivolò dall’altra parte e andò a sbattere contro il corrimano opposto.

Neppure gli altri esitarono. O’Connor scoccò una raffica di frecce contro gli occhi della bestia mentre Reece tagliava un altro tentacolo che stava per colpire Selese. Indra scagliò la sua lancia colpendo il mostro al petto, Mati fece roteare il mazzafrusto mozzando un altro tentacolo ed Elden usò l’ascia per eliminarne due in un colpo solo. Tutti insieme i compagni della Legione si avventarono sul mostro attaccandolo come una macchina perfettamente sincronizzata.

La bestia ringhiò per la rabbia dopo aver perso diversi tentacoli, colpita da frecce e lance, chiaramente presa alla sprovvista da quell’attacco coordinato. Vedendo il suo primo attacco così placcato gridò di frustrazione e saltò rapidissima in aria per poi atterrare altrettanto rapidamente sotto la superficie creando grosse onde e facendo così dondolare la nave.

Thor rimase a guardare nel silenzio improvviso, confuso. Per un secondo pensò che forse si poteva essere ritirato, che l’avevano sconfitto, soprattutto vedendo il sangue della bestia addensarsi in superficie. Ma poi ebbe il brutto presentimento che tutto fosse andato troppo bene, troppo rapidamente.

Poi, troppo tardi, si rese conto di cosa il mostro stesse per fare.

“TENETEVI STRETTI!” gridò agli altri.

Aveva appena pronunciato quelle parole quando sentì la nave sollevarsi instabilmente dall’acqua, sempre più in alto, fino a trovarsi in aria tra i tentacoli della bestia. Thor abbassò lo sguardo e vide il mostro sotto di loro con i suoi tentacoli avvolti attorno allo scafo, da prua a poppa. Si preparò quindi allo schianto che stava per verificarsi.

La bestia scagliò la nave e questa volò come un giocattolo in aria mentre tutti cercavano di tenersi saldamente. Alla fine atterrò nell’oceano dondolando violentemente.

Thor e gli altri persero la presa e scivolarono lungo il ponte in ogni direzione andando a sbattere contro il legno mentre la barca veniva scossa e si girava. Thor scorse Angel che scivolava verso il corrimano apprestandosi ad essere sbalzata fuori. Riuscì ad allungarsi e ad afferrarle la manina tenendola stretta mentre lei lo guardava terrorizzata.

Alla fine la nave si raddrizzГІ e Thor saltГІ in piedi insieme agli altri preparandosi a un nuovo attacco. Subito vide la bestia nuotare verso di loro a piena velocitГ  dimenando i tentacoli. AfferrГІ la nave da entrambe le parti facendo strisciare i tentacoli fino ai bordi, sul ponte, verso di loro.

Thor udì un grido e sollevò lo sguardo vedendo Selese con un tentacolo avvolto attorno a una caviglia, che scivolava lungo il ponte, trascinata quasi fuoribordo. Reece fece roteare la spada e tagliò il tentacolo ma con la stessa rapidità un altro tentacolo gli avvolse un braccio. Più tentacoli strisciarono sulla nave e mentre ne sentiva uno sul suo stesso polpaccio, si guardò attorno vedendo che tutti i suoi fratelli della Legione si stavano dimenando selvaggiamente mozzando tentacoli. Per ognuno che ne tagliavano ne apparivano due di nuovi.

Tutta la nave era ricoperta e Thor capì che se non avesse presto fatto qualcosa sarebbero stati tutti risucchiati. Udì uno stridio provenire dal cielo e sollevando lo sguardo vide una delle creature demoniache rilasciate dall’inferno volare sopra la sua testa e guardarli con espressione derisoria prima di andarsene.

Thor chiuse gli occhi, sapendo che quella era una delle prove, uno dei momenti grandiosi della sua vita. Cercò di escludere il mondo e di concentrarsi interiormente. Sul suo allenamento. Su Argon. Su sua madre. Sui suoi poteri. Lui era più forte dell’universo, questo lo sapeva. C’erano dei poteri dentro di lui, poteri che andavano oltre il mondo fisico. Quella creatura era in questo mondo, ma i poteri di Thor erano superiori. Lui poteva convocare i poteri della natura, gli stessi poteri che avevano creato quella bestia, e rimandarla all’inferno da cui era venuta.

Thor sentì il mondo che rallentava attorno a lui. Sentì il calore salirgli alle mani e diffondersi lungo le braccia, le spalle. Poi di nuovo un formicolio alla punta delle dita. Sentendosi invincibile Thor aprì gli occhi. Sentì un potere incredibile scorrergli dentro, il potere dell’universo.

Thor allungГІ un braccio e posГІ una mano su un tentacolo della bestia e subito lo scottГІ. La bestia ritirГІ il tentacolo immediatamente lasciando la presa, come se fosse stata bruciata.

Thor si mise in piedi, un uomo nuovo. Si voltГІ e vide la testa del mostro che si levava dal bordo della nave aprendo la mandibola e preparandosi ad ingoiarli tutti. Vide i suoi fratelli e sorelle della Legione scivolare, quasi trascinati oltre il bordo.

Thor lanciò un forte grido di battaglia e si buttò contro la bestia. Si tuffò su di essa prima che potesse raggiungere gli altri, rinfoderando la spada e allungando invece i palmi ardenti. Afferrò con forza la testa del mostro e vi mise sopra le mani sentendo che così gli bruciava il muso.

Thor tenne salda la bestia mentre questa strideva e si dimenava cercando di liberarsi dalla sua stretta. Lentamente, un tentacolo alla volta, la creatura iniziò ad allentare la presa attorno alla barca e Thor sentì i suoi poteri crescere dentro di sé. Tenne stretta la bestia e poi sollevò entrambe le mani sentendo il peso del mostro e sollevandolo sempre più su in aria. Presto la creatura si librò fra le sue mani mentre il potere di Thor lo faceva galleggiare in aria.

Poi, mentre la bestia si trovava a una buona decina di metri sopra la sua testa, Thor si voltГІ e spinse la mani in avanti.

La bestia volГІ in aria, al di sopra della nave, gridando e ruotando su se stessa. SfrecciГІ in aria per una trentina di metri e alla fine si afflosciГІ. Cadde quindi in mare con un forte tonfo e affondГІ sotto la superficie.

Morta.

Thor rimase in silenzio, tutto il corpo ancora caldo. Lentamente, uno alla volta, gli altri si ripresero rimettendosi in piedi e raccogliendosi attorno a lui. Thor rimase fermo, con il fiatone, frastornato, guardando quel mare di sangue. Oltre, all’orizzonte, i suoi occhi si fissarono sul castello nero che troneggiava su quella terra. Il luogo che sapeva teneva rinchiuso suo figlio.

Era giunto il momento. Ora non c’era nulla a fermarlo ed era finalmente ora di andare a recuperare suo figlio.




CAPITOLO UNDICI


Volusia si trovava di fronte ai suoi molti consiglieri tra le strade della capitale dell’Impero, fissando lo specchio con orrore. Osservò il suo nuovo volto da ogni angolazione: metà era ancora bellissimo mentre l’altra metà era sfigurato, sciolto, e la cosa le faceva ribrezzo. Il fatto che metà della sua bellezza fosse ancora presente peggiorava soltanto le cose. Sarebbe stato tutto più facile, si rendeva conto, se tutto il viso fosse stato sfigurato. Almeno non avrebbe ricordato nulla del suo aspetto precedente.

Volusia ricordava il suo aspetto meraviglioso, la fonte del suo potere che l’aveva portata attraverso ogni evento della sua vita, che le aveva permesso di manipolare uomini e donne senza distinzioni, di far cadere gli uomini in ginocchio con un solo sguardo. Ora era tutto svanito. Ora era solo una ragazza di diciassette anni come tutte le altre, peggio ancora un mezzo mostro. Non poteva sopportare la vista del suo volto.

In un’esplosione di rabbia e disperazione Volusia gettò lo specchio a terra e lo guardò andare in frantumi sulla strada linda della capitale. Tutti i suoi consiglieri rimasero lì in silenzio distogliendo lo sguardo, sapendo che era meglio non parlare in quel momento. Fu chiaro anche a lei, guardando i loro volti, che nessuno voleva più guardarla, nessuno voleva vedere l’orrore che ora appariva sulla sua faccia.

Volusia si guardò attorno cercando i Voks, desiderosa di farli a brandelli, ma se n’erano già andati, erano scomparsi non appena avevano scagliato quell’orrendo incantesimo su di lei. Le avevano consigliato di non unirsi a loro e ora si rendeva conto che gli avvertimenti erano stati corretti. Aveva pagato un caro prezzo. Un prezzo che non le sarebbe mai stato restituito.

Volusia voleva sfogare la sua rabbia su qualcuno e i suoi occhi si posarono su Brin, il suo nuovo comandante, un guerriero statuario che aveva solo pochi anni più di lei e che le faceva la corte da lune. Giovane, alto e muscoloso, aveva un aspetto mozzafiato e le era corso dietro per tutto il tempo fin da quando l’aveva conosciuta. Eppure adesso, con sua rabbia, non voleva neanche incrociare il suo sguardo.

“Tu,” gli sibilò contro Volusia, capace a malapena di contenersi. “Adesso non mi guardi neppure?”

Volusia avvampГІ quando lui sollevГІ la testa ma non incrociГІ il suo sguardo. Ora questo era il suo destino per il resto della sua vita, lo sapeva: sarebbe sempre stata guardata come qualcosa di strano.

“Mi trovi disgustosa adesso?” gli chiese con voce rotta dalla disperazione.

Lui tenne la testa bassa e non rispose.

“Molto bene,” disse Volusia dopo un lungo silenzio, determinata ad eseguire la sua vendetta su qualcuno. “Allora ti ordino di guardare il volto che odi di più. Mi darai prova che sono bellissima. Dormirai con me.”

Il comandante alzГІ lo sguardo e la guardГІ negli occhi per la prima volta con paura e orrore stampati in volto.

“Mia dea?” le chiese con voce rotta, terrorizzata, sapendo che avrebbe dovuto affrontare la morte se le avesse disobbedito.

Volusia sorrise, felice per la prima volta, rendendosi conto che si trattava di una vendetta perfetta: giacere con l’uomo che la trovava più ripugnante.

“Dopo di te,” disse facendosi da parte e indicando la stanza.



*



Volusia si trovava di fronte alla grande finestra ad arco al piano superiore del palazzo della capitale dell’Impero e mentre il sole sorgeva e le tende le sfioravano il viso, piangeva in silenzio. Poteva sentire le lacrime che gocciolavano sulla parte buona del suo volto, ma non dall’altra parte, quella sciolta. Lì era insensibile.

Un leggero russare risuonava nell’aria e Volusia si diede un’occhiata alle spalle vedendo Brin steso lì, ancora addormentato con il volto contorto in un’espressione di disgusto anche nel sonno. Aveva odiato ogni momento del suo incontro con lei, lo sapeva, e questo le aveva concesso una piccola vendetta. Ma ancora non si sentiva soddisfatta. Non poteva lasciarla passare liscia ai Voks e aveva necessità di vendicarsi oltre.

Quello era un piccolo pezzo di vendetta, una minuscola parte di ciò che desiderava. I Voks del resto erano scomparsi mentre lei, la mattina successiva, era ancora viva, ancora incastrata con se stessa come sarebbe stata per il resto della sua vita. Imprigionata in quell’aspetto, in quel volto sfigurato che lei stessa non poteva sopportare.

Volusia si asciugò le lacrime e guardò fuori, oltre il confine della città, oltre le mura della capitale, verso l’orizzonte. Mentre i soli sorgevano iniziava a vedere le deboli tracce degli eserciti dei Cavalieri del Sette, con i loro stendardi all’orizzonte. Erano accampati là fuori e stavano mettendo insieme i loro eserciti. La stavano lentamente circondando raccogliendo milioni di soldati da ogni angolo dell’Impero, tutti pronti ad invadere. Ad annientarla.

Accettava il confronto. Non aveva bisogno dei Voks, lo sapeva. Non aveva bisogno di nessuno dei suoi uomini. Poteva ucciderli da sola. Dopotutto era una dea. Aveva lasciato il regno dei mortali da molto e ora era una leggenda, una leggenda che nessuno – nessun esercito al mondo – poteva fermare. Li avrebbe accolti da sola e li avrebbe uccisi tutti una volta per tutte.

Poi alla fine non ci sarebbe stato piГ№ nessuno ad affrontarla. Allora il suo potere sarebbe stato supremo.

Volusia udì un rumore dietro di lei e con la coda dell’occhio scorse del movimento. Vide che Brin si alzava dal letto gettando via le lenzuola e iniziando a vestirsi. Lo vide muoversi furtivamente, attento a fare piano, e si rese conto che intendeva scivolare fuori dalla stanza prima che lei lo vedesse, così da non essere costretto a guardarla in faccia. Questo unì ulteriore insulto alla già presente ingiuria.

“Oh, comandante,” disse vagamente.

Lo vide immobilizzarsi per la paura. Si voltГІ e la guardГІ controvoglia e lei gli sorrise torturandolo con il grottesco aspetto delle sue labbra deformi.

“Vieni qui, comandante,” gli disse. “Prima che te ne vai c’è qualcosa che voglio mostrarti.”

Lui si voltò e camminò lentamente attraversando la stanza e raggiungendola. Rimase lì vicino a lei guardando ovunque ma non il suo volto.

“Non vuoi dare un piccolo bacio d’addio alla tua dea?” gli chiese.

Lo vide rabbrividire, per quanto leggermente, e provГІ una fresca ondata di rabbia bruciarle dentro.

“Non preoccuparti,” aggiunse con espressione di colpo più cupa. “Ma c’è almeno una cosa che voglio mostrarti. Dai un’occhiata. Vedi là fuori all’orizzonte? Guarda bene. Dimmi cosa vedi laggiù.”

Lui si fece avanti e lei gli mise una mano sulla spalla. Lui si chinò in avanti ed esaminò con attenzione la linea dell’orizzonte aggrottando la fronte confuso.

“Non vedo niente, mia dea. Niente di diverso dal solito.”

Volusia sorrise sentendo il vecchio spirito di vendetta salire dentro di sГ©, sentendo il suo vecchio desiderio di violenza e crudeltГ .

“Guarda meglio, comandante,” disse.

Lui si chino un po’ di più e con un rapido gesto Volusia lo afferrò per la camicia e con tutta la sua forza lo spinse dalla finestra.

Brin gridГІ dimenandosi e volando in aria, cadendo per una trentina di metri fino ad atterrare morendo sul colpo nella strada di sotto. Il tonfo riverberГІ tra le strade altrimenti silenziose.

Volusia sorrise guardando il suo corpo e sentendo finalmente un senso di vendetta.

“Guardati,” rispose. “Chi fra noi due è il più grottesco adesso?”




CAPITOLO DODICI


Gwendolyn camminava attraverso i bui corridoi della torre dei Cercatori di Luce con Krohn al suo fianco, risalendo lentamente la rampa circolare che si dispiegava ai lati dell’edificio. La scala era fiancheggiata da torce e devoti al culto che stavano silenziosamente sull’attenti con le mani nascoste nelle loro tuniche. La curiosità di Gwendolyn si faceva man mano più profonda mentre continuavano a salire di un piano dopo l’altro. Il figlio del re, Kristof, l’aveva condotta per metà strada dopo il loro incontro, poi si era girato per scendere, dandole istruzioni su come completare la propria ascesa da sola per raggiungere Eldof, che poteva incontrare solo da sola. Per tutto il tempo che ne avevano parlato le era stato presentato come un dio.

Un lieve canto riempiva l’aria pregna di incenso mentre Gwen saliva lungo la graduale rampa e si chiedeva: quale segreto sorvegliava Eldof? Le avrebbe dato la conoscenza di cui aveva bisogno per salvare il re e il Crinale? Sarebbe mai stata capace di recuperare la famiglia del re da quel posto?

Quando ebbe svoltato un angolo, la torre improvvisamente si aprì davanti a lei e Gwen sussultò per ciò che vide. Entrò in una stanza altissima, con il soffitto a una trentina di metri e le pareti ricoperta da terra fino in cima di vetrate colorate. Una soffusa luce inondava la stanza colorandola di scarlatto, viola e rosa e donandole una qualità eterea. E ciò che rendeva il tutto ancora più surreale era un uomo seduto da solo in quel posto immenso, al centro della stanza, con una scia di luce che scendeva su di lui come ad illuminare lui e lui soltanto.

Eldof.

Il cuore di Gwen le batteva forte in petto vedendolo lì seduto dalla parte opposta della stanza, come un dio calato dal cielo. Sedeva lì con le mani raccolte nella sua tunica dorata e luccicante, la testa completamente calva e un enorme e magnifico trono fatto d’avorio con torce da entrambe le parti e una rampa di gradini che vi conduceva. Quella stanza, quel trono, i gradini che vi conducevano davano l’idea di avvicinarsi a ben più che un re. Gwen si rese subito conto perché il re si fosse sentito minacciato dalla sua presenza, dal suo culto, dalla sua torre. Era tutto disegnato per ispirare ammirazione e sottomissione.

Non le fecce nessun cenno, né si accorse della sua presenza e Gwen, non sapendo cos’altro fare, iniziò a salire la lunga scala dorata che conduceva al trono. Camminando vide che dopotutto non era completamente solo là dentro, dato che oscurati dall’ombra si trovavano fedeli tutti allineati lungo la rampa, con gli occhi chiusi e le mani serrate nelle tuniche. Si chiese quante migliaia di seguaci avesse.

Alla fine si fermГІ pochi metri davanti al suo trono e sollevГІ lo sguardo.

Lui la guardava con il suo sguardo che sembrava antico, blu ghiaccio, luccicante, e mentre le sorrideva non dimostrava alcun calore. Erano occhi ipnotici. Le ricordava i momenti in cui si trovava in presenza di Argon.

Non sapeva cosa dire mentre lui la guardava: sembrava che le stesse scrutando l’anima. Lei rimase lì in silenzio aspettando che fosse pronto e accanto a sé poté sentire Krohn che si irrigidiva, all’erta quanto lei.

“Gwendolyn del Regno Occidentale dell’Anello, figlia di re MacGil, ultima speranza di salvezza per la sua gente e per la nostra,” disse lentamente, come se stesse leggendo alcuni antichi scritti, con la voce di una profondità mai sentita, come se provenisse dalla pietra stessa. Gli occhi di Eldof erano proiettati nei suoi e la sua voce era ipnotica. Mentre lo guardava Gwen perse ogni senso del tempo e dello spazio e si sentì da subito come risucchiata dal suo culto. Si sentiva in trance, come incapace di guardare da qualsiasi altra parte nonostante ci provasse. Si sentì subito come se lui fosse il centro del mondo e capì all’istante come tutta quella gente fosse giunta a venerarlo e seguirlo.

Gwen lo fissò momentaneamente senza parole, una cosa che raramente le era capitata. Non si era mai sentita così rapita, lei che era stata dinnanzi a tanti re e regine, lei che era in prima persona una regina, lei che era figlia di un re. Quell’uomo aveva una qualità, qualcosa di difficile da descrivere: per un momento dimenticò addirittura perché era andata lì.

Alla fine si ricompose e fu capace di parlare.

“Sono qui,” iniziò, “perché…”

Lui rise interrompendola, un suono breve e profondo.

“So perché sei qui,” le disse. “Lo sapevo ancora prima di te. Sapevo del tuo arrivo in questo posto in effetti e lo sapevo prima che tu attraversassi la Grande Desolazione. Sapevo della tua partenza dall’Anello, del tuo viaggio alle Isole Superiori e dei tuoi viaggi attraverso l’oceano. So di tuo marito, Thorgrin, e di tuo figlio, Guwayne. Ti ho guardata con grande interesse, Gwendolyn. Ti guardo da secoli.”

Gwen provò un brivido a quelle parole, anche per la familiarità di quella persona che non conosceva. Sentì un formicolio nelle braccia, lungo la spina dorsale, chiedendosi come potesse sapere tutto questo. Sentì da subito che si trovava nella sua orbita e che non sarebbe potuta fuggire anche se avesse provato.

“Come fai a sapere tutto questo?” gli chiese.

Lui sorrise.

“Io sono Eldof. Sono tanto l’inizio quanto la fine della conoscenza.”

Si alzò in piedi e Gwen fu scioccata di vedere che era alto il doppio di ogni uomo avesse mai incontrato. Fece un passo più vicino a lei scendendo la rampa e con gli occhi così ipnotizzanti che Gwen si sentì come incapace di muoversi in sua presenza. Era così difficile concentrarsi davanti a lui, pensare con la propria testa.

Gwen si sforzГІ di fare chiarezza nella propria mente, di concentrarsi sugli affari di cui doveva trattare.

“Il tuo re ha bisogno di te,” gli disse. “Il Crinale ha bisogno di te.”

Lui rise.

“Il mio re?” ripeté con disprezzo.

Gwen si sforzГІ di insistere.

“Crede che tu sappia come salvare il Crinale. Crede che tu gli tenga nascosto il segreto, un segreto che potrebbe salvare questo posto e tutta questa gente.”

“Sì, è così,” rispose inespressivo.

Gwen fu presa alla sprovvista da quella immediata a schietta risposta e non sapeva come controbattere. Si era aspettata che avrebbe negato.

“Davvero?” gli chiese strabiliata.

Lui sorrise ma non disse nulla.

“Ma perché?” gli chiese. “Perché non dovresti condividere questo segreto?”

“E perché dovrei farlo?” chiese lui.

“Perché?” ribatté lei di stucco. “Ovviamente per salvare questo regno, per salvare il suo popolo.”

“E perché dovrei volerlo fare?” insistette lui.

Gwen socchiuse gli occhi confusa: non aveva idea di come rispondere. Alla fine sospirГІ.

“Il tuo problema,” continuò Eldof, “è che credi che tutti debbano essere salvati. Ma è qui che sbagli. Guardi il tempo attraverso le lenti di pochi decenni. Io lo guardo dal punto di vista di secoli. Tu guardi la gente come fosse indispensabile: io li vedo come ingranaggi nella grande ruota del destino e del tempo.”

Fece un passo piГ№ vicino, con occhi sempre piГ№ perforanti.

“Alcune persone, Gwendolyn, sono destinate a morire. Alcune persone devono morire.”

“Devono morire?” chiese Gwen inorridita.

“C’è bisogno che alcuni muoiano per liberarne di altri,” rispose lui. “Alcuni devono cadere così che altri possano elevarsi. Cosa rende una persona più importante di un’altra? Un luogo più importante di un altro?”

Lei soppesГІ le parole, sempre piГ№ confusa.

“Senza distruzione, senza spreco, la crescita non sarebbe possibile. Senza le sabbie vuote del deserto non ci possono essere fondamenta su cui costruire grandiose città. Cosa conta di più: la distruzione o la crescita? Non capisci? Cos’è la distruzione se non un fondamento?”

Gwen, perplessa, cercava di capire, ma le sue parole non facevano che accrescere la sua confusione.

“Quindi hai intenzione di startene da parte e lasciare che il Crinale e la sua gente muoiano?” chiese. “Perché? che bene te ne verrebbe?”

Eldof rise.

“Perché tutto dovrebbe sempre essere per un beneficio?” le chiese. “Non li salverò perché non sono destinati ad essere salvati,” disse con enfasi. “Questo posto, il Crinale, non è destinato a sopravvivere. È destinato ad essere distrutto. Questo re è destinato ad essere distrutto. Tutto questo popolo è destinato ad essere distrutto. E non sta a me mettermi sulla strada del destino. Mi è stato concesso il dono di vedere il futuro, ma è un dono di cui non abuserò. Non cambierò ciò che vedo. Chi sono io per mettermi sulla strada del destino?”

Gwendolyn non potГ© fare a meno di pensare a Thorgrin e Guwayne.

Eldof sorrise.

“Ah sì,” disse guardandola. “Tuo marito. Tuo figlio.”

Gwen lo guardГІ scioccata, chiedendosi come avesse potuto leggerle la mente.

“Vuoi così tanto aiutarli,” aggiunse, ma poi scosse la testa. “Ma a volte non si può cambiare il destino.”

Lei arrossì e scrollò via le sue parole, determinata.

“Io cambierò il destino,” disse con enfasi. “A qualsiasi costo. Anche se dovessi rinunciare alla mia stessa anima.”

Eldof la guardГІ a lungo, osservandola con attenzione.

“Sì,” disse. “Lo farai, vero? Posso vedere questa forza in te. Lo spirito di un guerriero.”

La scrutГІ attentamente e per la prima volta lei scorse un poca di incertezza nella sua espressione.

“Non mi aspettavo di trovare qualcosa del genere in te,” continuò con voce più umile. “Ci sono pochi eletti, come te, che hanno il potere di cambiare il destino. Ma il prezzo che dovrai pagare sarà molto grande.”

SospirГІ, come scacciando una visione.

“In ogni caso,” continuò, “non cambierai il destino qui, non nel Crinale. La morte sta sopraggiungendo. Ciò che serve loro non è di essere salvati, ma un esodo. Hanno bisogno di un nuovo capo che li conduca attraverso la Grande Desolazione. Penso tu già sappia che sei tu quel capo.”

Gwen provГІ un brivido a quelle parole. Non poteva immaginarsi ad avere la forza di rifare tutto di nuovo.

“Come posso guidarli?” chiese, esausta al solo pensiero. “E dove potremmo andare? Siamo nel mezzo del nulla.”

Lui si voltГІ facendo silenzio e iniziando ad allontanarsi. Gwen provГІ un improvviso ardente desiderio di saperne di piГ№.

“Dimmi,” disse correndogli dietro e afferrandolo per un braccio.

Lui si voltò e le guardò la mano, come se un serpente lo stesse toccando. Alla fine lei la tolse. Numerosi dei suoi monaci accorsero uscendo dall’ombra e si raccolsero attorno a loro, guardandola con rabbia. Alla fine Eldof fece loro un cenno ed essi si ritirarono.

“Dimmi,” le disse. “Risponderò a una domanda. Solo a una domanda. Cosa desideri sapere?”

Gwen fece un respiro profondo, disperata.

“Guwayne,” disse senza fiato. “Mio figlio. Come posso riaverlo indietro? Come posso cambiare il destino?”

Lui la guardГІ a lungo e con durezza.

“La risposta è davanti ai tuoi occhi da tempo, eppure non la vedi.

Gwen si scervellГІ, disperata di capire, eppure non poteva comprendere cosa fosse.

“Argon,” aggiunse. “Rimane un segreto che ha avuto paura di rivelarti. È lì che si trova la tua risposta.”

Gwen era scioccata.

“Argon?” chiese. “Argon sa?”

Eldof scosse la testa.

“No. Ma il suo maestro sì.”

A Gwen girava la testa.

“Il suo maestro?” chiese.

Gwen non aveva mai considerato che Argon avesse un maestro.

Eldof annuì.

“Chiedigli di portarti da lui,” disse con tono pregno di fatalità. “La risposta che avrai stupirà anche te.”




CAPITOLO TREDICI


Mardig camminava attraverso i corridoi del castello con determinazione e contemplava nella sua mente ciò che stava per fare. Allungò un braccio e con mano sudata afferrò il pugnale che teneva nascosto alla vita. Percorreva la stessa strada che aveva fatto milioni di volte prima d’ora, la strada che lo portava da suo padre.

La camera del re non era più distante ormai e Mardig svoltava e girava lungo i familiari corridoi, oltre le guardie che si inchinavano con riverenza alla vista del figlio del re. Mardig sapeva di avere poco da temere da loro. Nessuno aveva idea di cosa stesse per fare e nessuno avrebbe saputo ciò che sarebbe successo se non dopo molto tempo dall’accaduto, quando il regno sarebbe già stato suo.

Mardig sentiva un turbine di emozioni contrastanti mentre si sforzava di mettere un piede davanti all’altro, con le ginocchia tremanti, sforzandosi di essere risoluto e preparandosi a compiere il gesto che aveva pianificato per tutta la vita. Suo padre era sempre stato un oppressore per lui, lo aveva sempre disapprovato, apprezzando invece gli altri figli, i guerrieri. Approvava addirittura sua figlia più di lui. E tutto perché lui, Mardig, aveva deciso di non prendere parte a quella cultura della cavalleria; tutto perché preferiva bere vino e andare a caccia di donne invece di uccidere altri uomini.

Agli occhi di suo padre questo lo rendeva un fallimento. Suo padre aveva guardato con disapprovazione ogni cosa Mardig avesse mai fatto, seguendolo con i suoi occhi di disprezzo in ogni angolo. Mardig aveva sempre sognato di poter avere un giorno un qualche riconoscimento. E allo stesso tempo di poter prendere il potere per sГ©. Tutti si erano sempre aspettato che il trono passasse a uno dei suoi fratelli, il primogenito, Koldo. Se non a lui allora al gemello di Mardig, Ludvig. Ma Mardig aveva altri piani.

Quando Mardig svoltò l’angolo i soldati di guardia si inchinarono con riverenza e si voltarono per aprire la porta senza neanche chiedere perché.

Ma improvvisamente uno di loro si fermГІ inaspettatamente e si girГІ a guardarlo.

“Mio signore,” disse, “il re non ci ha detto di nessuna visita questa mattina.”

Il cuore di Mardig smise di battere un momento, ma si sforzò di apparire coraggioso e sicuro: si voltò e fissò il soldato, uno sguardo di potere, fino a che poté vedere che l’uomo appariva insicuro di se stesso.

“E io sarei un mero visitatore?” chiese con freddezza, facendo del suo meglio per non sembrare spaventato.

La guardia lentamente arretrГІ e Mardig passГІ attraverso le porte aperte che vennero poi chiuse dalle guardie alle sue spalle.

Mardig entrГІ nella stanza e vide gli occhi sorpresi di suo padre che si trovava in piedi alla finestra e guardava pensieroso il suo regno. Lo guardГІ confuso.

“Mardig,” disse suo padre, “a cosa devo l’onore? Non ti ho convocato. Né ti ho richiesto di farmi visita nelle ultime lune, a meno che non si ci sia qualcosa che desideri.”

Il cuore di Mardig gli batteva forte nel petto.

“Non sono venuto a chiederti niente, padre,” rispose. “Sono venuto a prendere qualcosa.”

Il re apparve confuso.

“A prendere?” chiese.

“A prendere ciò che mi appartiene,” rispose.

Mardig fece alcuni lunghi passi attraversando la stanza, irrigidendosi mentre suo padre lo guardava sorpreso.

“Cosa ti appartiene?” gli chiese.

Mardig sentiva i palmi che sudavano, il pugnale in mano e non sapeva se sarebbe riuscito ad andare oltre.

“Ebbene, il regno,” disse.

Mardig allentò lentamente la presa sul pugnale, volendo che suo padre lo vedesse prima di pugnalarlo, volendo che vedesse con i suoi occhi quanto lui lo odiasse. Voleva vedere l’espressione di paura di suo padre, lo shock, la rabbia.

Ma quando il re abbassò lo sguardo non fu come Mardig se l’era aspettato. Pensava che avrebbe opposto resistenza, che avrebbe lottato. Invece sollevò lo sguardo e lo fissò con tristezza e compassione.

“Figliolo,” gli disse. “Sei pur sempre mio figlio nonostante tutto e ti voglio bene. So che nel profondo del tuo cuore non intendi fare questo.”

Mardig socchiuse gli occhi confuso.

“Sono malato, figlio mio,” continuò il re. “Molto presto sarò morto. E quando ciò accadrà il regno passerà ai tuoi fratelli, non a te. Anche se dovessi uccidermi ora, non ci guadagneresti nulla. Saresti sempre il terzo nella discendenza. Quindi posa la tua arma e abbracciami. Ti voglio ancora bene, come farebbe ogni padre.”

Mardig, in un’improvvisa ondata di rabbia, con mani tremanti, si lanciò in avanti e conficcò il pugnale nel cuore di suo padre.

Suo padre rimase fermo, strabuzzando gli occhi incredulo mentre Mardig teneva stretto il coltello e lo fissava negli occhi.

“La tua malattia ti ha reso debole padre,” gli disse. “Cinque anni fa non avrei mai potuto fare una cosa del genere. E un regno non merita un re debole. So che presto morirai, ma non è abbastanza presto per me.”

Il re alla fine collassГІ a terra, immobile.

Morto.

Mardig abbassГІ lo sguardo respirando affannosamente, ancora scioccato per ciГІ che aveva appena fatto. Si asciugГІ la mano sugli abiti e gettГІ il coltello che atterrГІ con un clangore sul pavimento.

Mardig guardГІ suo padre con volto accigliato.

“Non preoccuparti dei miei fratelli, padre,” aggiunse. “Ho un piano anche per loro.”

Mardig passГІ oltre il cadavere di suo padre, Si avvicinГІ alla finestra e guardГІ verso la capitale che si dispiegava di sotto. La sua cittГ .

Ora era tutto suo.




CAPITOLO QUATTORDICI


Kendrick sollevГІ la spada e bloccГІ il colpo del Camminasabbia che stava calando i suoi artigli affilati contro il suo volto. Lo fermГІ con un clangore metallico, facendo volare scintille, quindi si fece da parte mentre la creatura scivolava con le unghie lungo la lama e si portava verso la sua testa.

Kendrick ruotò e colpì, ma la creatura era incredibilmente veloce. Si fece indietro e la spada di Kendrick la mancò. Quindi attaccò di nuovo balzando in aria e lanciandosi proprio su Kendrick che però questa volta era preparato. Aveva sottovalutato la sua rapidità, ma non l’avrebbe fatto una seconda volta. Kendrick si abbassò e sollevò la spada e lasciò che la bestia si trafiggesse da sola cadendo dritta sulla punta.

Kendrick si alzГІ in ginocchio e fece ruotare la spada in basso tagliando le gambe di due Camminasabbia che gli si stavano avvicinando. Poi si girГІ e spinse la spada indietro infilzandone uno al ventre un attimo prima che gli atterrasse sulla schiena.

Le bestie calavano su di lui da ogni direzione e Kendrick si trovò nel mezzo di una calda battaglia Brandt e Atme al suo fianco, Koldo e Ludvig dall’altra parte. Tutti e cinque istintivamente si davano manforte formando uno stretto cerchio, schiena contro schiena, colpendo, calciando e tenendo le creature a bada difendendosi l’un l’altro.

Continuarono a combattere sotto i soli accecanti, senza alcun posto dove potersi ritirare in quel vasto spazio aperto. A Kendrick facevano male le spalle e si sentiva al limite, il sangue fino ai gomiti, esausto dopo quella lunga camminata e stanco di quella battaglia interminabile. Non aveva scorte, non avevano un posto dove andare stavano tutti combattendo per salvarsi la pelle. Le grida furiose di quelle bestie riempivano l’aria mentre cadevano a destra e a sinistra. Kendrick sapeva che dovevano stare attenti: sarebbe stata una lunga camminata tornare indietro e se qualcuno di loro fosse rimasto ferito questo avrebbe compromesso la situazione.

Mentre combatteva vide in lontananza uno scorcio del ragazzo, Kaden, e fu sollevato di constatare che era ancora vivo. Lottava con mani e braccia legate dietro alla schiena e veniva trattenuto da diverse di quelle creature. Il vederlo motivò Kendrick e gli ricordò perché dopotutto erano venuto lì. Combatté furiosamente, raddoppiando gli sforzi, cercando di passare tra quelle bestie e farsi strada verso il ragazzo. Non gli piaceva il modo in cui lo stavano trattando e sapeva di doverlo raggiungere prima che quelle creature facessero qualcosa di avventato.

Kendrick sussultò di dolore sentendo un improvviso colpo al braccio. Si voltò e vide un Camminasabbia che stava per colpirlo di nuovo, calando i suoi artigli affilati contro la sua faccia. Non poteva reagire in tempo e si preparò al colpo aspettandosi di venire tagliato in due, quando improvvisamente Brandt balzò in avanti e infilzò la creatura al petto con la spada salvando Kendrick all’ultimo momento.

Nello stesso istante Atme si fece avanti e colpì una creatura appena prima che potesse affondare le zanne nella gola di Brandt.

Kendrick poi ruotГІ, colpendo due creature che stavano per piombare su Atme.

Continuarono in questo modo, ruotando e colpendo, combattendo contro ogni singola creatura fino all’ultimo. I mostri caddero ai loro piedi ammassandosi sulla sabbia che si fece rossa del loro sangue.

Con la coda dell’occhio Kendrick scorse diverse creature che afferravano Kaden e iniziavano a correre via con lui. Il cuore di Kendrick batteva all’impazzata: sapeva che si trattava di una situazione terribile. Se li avesse persi di vista sarebbero scomparsi nel deserto e non avrebbero più ritrovato Kaden.

Kendrick capì che doveva correre. Si liberò dalla battaglia prendendo a gomitate diverse creature che gli si erano parate davanti e inseguì il ragazzo lasciando gli altri a lottare contro i Camminasabbia. Diversi mostri lo seguirono, ma Kendrick si voltò tirando calci e fendenti e fermandoli mentre proseguiva. Kendrick si sentiva graffiare da ogni parte, ma non gli interessava e non si fermò. Doveva raggiungere Kaden in tempo.

Scorgendolo capì che doveva fermarlo e sapeva di avere solo una possibilità.

Portò la mano alla vita, afferrò un coltello e lo lanciò. L’arma atterrò nel collo di un Camminasabbia uccidendolo un attimo prima che potesse affondare gli artigli nella gola di Kaden. Kendrick passò tra la folla accorciando le distanze e correndo verso Kaden, pugnalando un altro mostro prima che potesse finirlo.

Kendrick prese una posizione di difesa nei confronti di Kaden – che si trovava a terra, legato – uccidendo i suoi aguzzini. Mentre altre creature si chiudevano attorno a loro, Kendrick bloccava i loro artigli da ogni parte. Si trovò circondato, intento a colpire in ogni direzione, ma determinato a salvare Kaden. Poteva vedere che gli altri erano troppo immersi nella battaglia per correre al fianco di Kaden.

Kendrick sollevГІ la spada in aria e tagliГІ le corde del ragazzo liberandolo.

“Prendi la mia spada!” gli gridò.

Kaden afferrГІ la seconda spada corta di Kendrick dal fodero e si voltГІ affrontando il resto delle creature portandosi al fianco di Kendrick. Sebbene fosse giovane Kendrick potГ© vedere che il ragazzo era rapido e coraggioso. Era contento di averlo al suo fianco nel combattere quelle creature.

Lottavano bene insieme, abbattendo Camminasabbia a destra e a sinistra, ma per quanto combattessero ce n’erano troppi e si trovarono presto completamente circondati.

Kendrick stava perdendo le forze, le sue spalle si stavano facendo stanche, ma improvvisamente vide che le creature iniziavano a cadere e udì un forte grido di battaglia dietro di loro. Fu felice di vedere Koldo, Ludvig, Brandt ed Atme rompere le righe e uccidere mostri da ogni parte. Incoraggiato continuò a lottare mettendo in atto un ultimo contrattacco insieme a Kaden. Tutti e sei, combattendo insieme, erano irrefrenabili e uccisero tutti i Camminasabbia.

Kendrick rimase fermo in silenzio, respirando affannosamente in mezzo al deserto e guardandosi attorno: faceva fatica a credere a ciò che avevano appena fatto. Tutt’attorno a loro erano ammassati i cadaveri delle bestie, sparpagliati da ogni parte, la sabbia rossa di sangue. Lui e gli altri erano ricoperti di ferite e graffi, ma erano tutti in piedi, vivi. E Kaden, con un sorriso che andava da orecchio a orecchio, era libero.

Kaden abbracciò tutti uno per uno iniziando da Kendrick e guardandolo con sguardo eloquente. Riservò l’ultimo abbraccio per Koldo, il fratello maggiore, e Koldo lo strinse a sé, la sua pelle nera luccicante al sole.

“Non posso credere che siate venuti a salvarmi,” disse Kaden.

“Sei mio fratello,” rispose Koldo. “Dove altro dovrei essere?”

Kendrick udì un suono e guardò oltre vedendo sei cavalli che quelle creature avevano rubato, tutti legati insieme da una corda. Tutti si scambiarono uno sguardo.

Insieme corsero e montarono in sella incitando subito le bestie in avanti, di nuovo nel mezzo della Desolazione, tutti diretti verso il Crinale, finalmente verso casa.




CAPITOLO QUINDICI


Erec si trovava a poppa nella sua nave osservando il retro della flotta e controllando alle spalle ancora una volta con ansia. Da una parte era sollevato di essere riuscito a ripulire il villaggio dell’Impero, di ridirigersi verso Volusia e verso Gwendolyn; d’altro canto aveva pagato un caro prezzo non solo nella perdita di uomini ma anche nella perdita di tempo: avevano annullato ogni vantaggio avessero potuto avere sulla flotta dell’Impero. Mentre si guardava alle spalle li vedeva al seguito, troppo vicini, intenti a risalire il fiume e ora a poche centinaia di metri da loro, con le loro bandiere nere e dorate che sventolavano. Aveva perso la sua giornata di vantaggio e ora li seguivano furiosamente, come un segugio a caccia della sua preda, con le loro navi superiori, meglio equipaggiate e ora sempre più vicini a ogni folata di vento.

Erec si voltò e controllò l’orizzonte. Sapeva dai suoi ricognitori che Volusia si trovava da qualche parte appena dietro l’ansa, ma al passo a cui l’Impero si stava avvicinando accorciando le distanze si chiedeva se la sua piccola flotta ci sarebbe arrivata in tempo. Iniziava a rendersi conto che se non ce l’avessero fatta avrebbero dovuto voltarsi e difendersi. Ma si sarebbe trattato di uno scontro che, così fortemente in minoranza, non avrebbero potuto vincere.

Erec udì un suono che gli fece rizzare i capelli e venire la pelle d’oca e voltandosi sollevò lo sguardo scorgendo una cosa che gli fece gelare il sangue: una raffica di frecce dell’Impero stavano volando in aria adombrando il cielo e disegnando un arco dirette verso la sua flotta. Erec si preparò e guardò con sollievo come quella prima ondata atterrasse in acqua tutt’attorno a loro, forse una ventina di metri dalla sua nave. Le frecce affondarono con il rumore di milioni di pesanti gocce di pioggia.




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